Uno Spotify per il video? Meglio cinema e TV

Uno Spotify per il video? L’auspicio espresso nel nuovo report di Irdeto “Eye on 2020” non sembra un augurio di buon lavoro per i servizi OTT TV europei che aspirano ad occupare il posto principale nella dieta dell’intrattenimento familiare. Secondo Richard Scott – Senior Vice President Sales&Marketing – l’audience europea soffre della frammentazione dell’esperienza video ad oggi derivante dalla congerie di proposte dei vari providers, e beneficierebbe quindi di un servizio à la Spotify, che aggreghi i vari contenuti, facilitando la ricerca di quelli desiderati e ricostruendo il profilo dell’utente grazie ai suggerimenti personalizzati, per creare una relazione diretta con il cliente.

Ma il modello di Spotify ha certamente reso sul piano della conquista del mercato, ha funzionato un po’ meno dal punto di vista dei ricavi. Se nel 2014 lo streaming musicale (sia video che audio) ha superato il download audio per quanto riguarda il numero di brani riprodotti (163,9 mld contro 2,7 mld), per quanto riguarda i ricavi il download si conferma più redditizio, con 2,49 mld $ (pari al 65,5% del totale) contro 1,31 mld $ (pari al 34,5%). In effetti, dei 60 milioni di utenti Spotify globali, solo 15 sono paganti.

Avvicinarsi a questo modello non sembra dunque l’augurio di cui i servizi OTT video hanno bisogno al momento. Il business della pay TV appare ancora largamente dominato dal broadcasting, rispetto al quale le offerte SVOD, che secondo Deloitte rappresentano solo 5 mld £ sui 168 del totale, si confermano complementari piuttosto che sostitutive. Anche in paesi come la Germania, la pur significativa  crescita del VOD raggiungerebbe al massimo 458 mln € nel 2015.

L’esempio che più si avvicina al modello evocato da Irdeto sembra quello di YouTube, e dell’esperimento (non molto riuscito) noto con il nome di Google TV. A tutt’oggi, però, la principale ragion d’essere del più grande portale di aggregazione video online (nonché di streaming audio gratuito – a proposito di Spotify) risiede nei formati brevi, che non hanno sinora dimostrato di poter rappresentare una vera alternativa rispetto ai long-form tradizionali. Secondo gli osservatori di ABI Research, i video brevi, utilizzati specialmente nel campo dell’ADV virale, contribuiscono ai ricavi in proporzione decisamente inferiore rispetto ai formati medi e lunghi (film e serie TV, per capirci), e nel 2019 potrebbero raggiungere i 13 mld $ contro i 56 mld $ del totale mercato. Più che uno Spotify, insomma, sembrerebbe proprio che al mondo del video online servano un cinema, o una TV.