La PA con la testa nella nuvola

La pubblica amministrazione italiana è in debito con le PMI. No, non si tratta di una ulteriore denuncia della mole di crediti vantati dalle nostre piccole e medie imprese nei confronti dello Stato: ma della possibile, virtuosa sinergia tra l'innovazione sviluppata da queste imprese (che per oltre il 35% hanno introdotto innovazioni di
prodotto, di processo o significative novità nel mercato, un dato di successo secondo solo a Germania e Svizzera – fonte CE, Innovation Union Scoreboard 2011) e le possibilità di sviluppo del cosiddetto g-cloud: il "cloud for government".

Il contributo, nello specifico,  arriva da Liberologico, che partendo da un progetto cofinanziato  da Sardegna Ricerche, ha presentato un'applicazione "as-a-service" e basata appunto sulla "nuvola". L'applicazione "PAFlow Saas" è l'evoluzione di un progetto nato nel 2000 da DigitPA e dal Sant'Anna di Pisa,che consente alle amministrazioni centrali e locali una gestione documentale e dei protocolli informatici in maniera dematerializzata. Il vantaggio dell'app di Liberologico è quello di poter essere immediatamente distribuito in un marketplace sul modello dello "store dell'innovazione", auspicato di recente nel più ampio quadro dell'Agenda Digitale.

L'iniziativa acquista un rilievo ancora più significativo se si pensa che, secondo l’indagine “Osservatorio Cloud e ICT as a service” (PoliMI 2012), la sola PA centrale ha attualmente 1033 Data Center, cui vanno aggiunti i 3000 della PA locale e della Sanità. Peraltro, in questi Data Center viene gestito un hardware disomogeneo, utilizzato per una frazione delle proprie potenzialità, con applicazioni obsolete e scritte in linguaggi ormai superati; il ricorso a tecniche di virtualizzazione è limitato al 25% delle macchine. Se al contrario l'utilizzo di tali tecniche fosse diffuso, congiuntamente a una razionalizzazione dei data center, oltre alla spesa energetica potrebbe essere ridimensionata significativamente quella dei costi infrastrutturali, innescando un risparmio che l'Osservatorio stima fino a 3,7  miliardi di euro.