Nativi digitali: interfaccia o codice?

Sono dati come questi che fanno dubitare del concetto di “nativo digitale”: un concetto certamente fortunato, ma non per questo perspicuo. Secondo il report di eMarketer dal quale sono tratti, la TV – quella che passa per il televisore del salotto – ha ancora un ruolo dominante nella dieta mediale degli americani di età inferiore ai 12 anni. A supportare ulteriormente l’evidenza, eMarketer cita Nielsen, che nel report relativo all’ultimo trimestre del 2013 parla di un consumo televisivo massiccio per gli utenti da 2 a 11 anni: 111 ore e 10 minuti al mese di televisione “tradizionale”, che si aggiungono a 10 ore e 45 minuti di televisione timeshifted, e a 9 ore e 18 minuti di fruizione di DVD e blu-ray discs.

Non che questo quadro escluda le forme di visione più innovative, come lo streaming video: le quali fanno parte integrante dell’esperienza di questi ragazzi, così come del resto i DVR, tanto da non essere neppure nettamente distinti dalla “normale” programmazione TV. Ma la dedizione al piccolo schermo ridimensiona drasticamente la pretesa di una “affinità elettiva” tra i più giovani e gli schermi di computer e dispositivi mobili. I quali, evidentemente, sono loro familiari per la semplice ragione che lo sono, sempre di più, per i loro genitori; e che la giovane età agevola l’apprendimento rapido di questa, come di qualsiasi altra pratica venga loro sottoposta.

Non basta prendere atto dell’invidiabile dimestichezza con cui, giorno dopo giorno, i nostri figli interagiscono con gli strumenti tecnologici: come affermò una volta il compianto Marco Zamperini, questa può essere al massimo una dimestichezza con l’interfaccia, non con la tecnologia in sé. Il sospetto è che anche nel caso dei “nativi digitali” siamo di fronte a una “descrizione superficiale” (come la chiama Gilbert Ryle), non necessariamente falsa, ma che si ferma al mero resoconto della situazione com’è osservata a prima vista, all'”interfaccia” insomma, invece di entrare nel suo significato, nel “codice” – catturando il fenomeno in profondità, come dovrebbe fare una “descrizione densa”.