Dell’incontro dello scorso giovedì a Milano per festeggiare i cento numeri di Nòva ricorderò soprattutto le parole di Luca De Biase, a proposito dell’importanza di elaborare un metodo – condivisibile, comunicabile, trasmettibile – per riconoscere l’innovazione. Personalmente, non sono affatto certa di essere vicina al raggiungimento di un simile obiettivo, ambizioso e pure imprescindibile; per il momento, mi riesce molto più agevole distinguere cosa non è innovazione.
Per calare il discorso nella realtà, il prossimo 22 novembre verrà presentato il catalogo 2008 del progetto di Rai Trade denominato "Rai per la Cultura". In soldoni, si tratta di una raccolta di DVD da acquistare per corrispondenza, e, a partire da quest’anno, anche files multimediali da scaricare direttamente online. I materiali, corrispondenti all’intera produzione home video di RAI sono tratti dalle teche RAI, dagli archivi di RAI Cinema e di 01 Distribution; ma scorrendo i titoli disponibili nel catalogo si incontrano nomi assai poco televisivi o cinematografici. Popper, Gadamer, De Filippo, Sanguineti, D’Annunzio, Gassmann, Gregoretti, Galbraith compaiono accanto a Zavoli, Paolini e Camilleri, e li surclassano in quantità; teatro, letteratura, filosofia, economia oscurano la TV. Di fatto, l’intento originario del progetto era quello di creare una sorta di "enciclopedia" targata RAI, e l’indice generale delle collane restituisce questa stessa immagine. Cos’ha a che fare tutto questo con la televisione?
Il progetto di Rai Trade si nutre, a mio parere, di un equivoco, che prima ancora che il rapporto tra cultura e televisione riguarda il rapporto tra media e contenuti. L’equivoco riguarda l’assunzione che trasportare materiali attinenti al patrimonio culturale medio-alto della nostra nazione sul piccolo schermo significhi non solo ottenere un risultato non solo qualitativamente eccellente, ma soprattutto meritorio. Il dubbio che un simile tentativo solleva in me riguarda la reale opportunità di mettere in corrispondenza un mezzo di comunicazione, la televisione, e un messaggio come quello che la collana di Rai Trade vorrebbe trasmettere. Di nuovo, in soldoni: siamo certi che la miglior maniera di fruire le lezioni di filosofia di Hans Georg Gadamer sia quello di visionare i 10 (dieci) DVD della raccolta? E siamo altrettanto certi che il gradimento incontrato dall’economia secondo Galbraith sia comparabile con quello riscosso dalle avventure del commissario Montalbano?
La risposta a questi dubbi non passa soltanto per il giudizio che scaturisce dalla fruizione diretta die prodotti in questione. Si tratta invece, secondo me, di realizzare che ogni medium ha il suo contenuto; che non tutti i media sono adatti a tutti i contenuti, e viceversa; che come ogni mezzo di comunicazione, la TV si rinnova e muta quando realizza le sue potenzialità intrinseche, senza intrusioni che provengano da zone del sapere ad essa storicamente e strutturalmente estranee; e soprattutto, che non basta utilizzare un nuovo formato digitale o servirsi di un canale tecnologicamente più avanzato del vecchio tubo catodico per aver realizzato qualcosa di innovativo. Certo, non so ancora bene cosa voglia dire innovazione; ma quale che sia il significato, ho la sensazione pressante che questa non lo sia.