Youreporter: fenomeno nuovo, questioni antiche

E’ nato già da qualche mese, ma l’utilizzo massiccio delle immagini tratte dal sito Youreporter.it, che raccoglie veri e propri contributi giornalistici in foto e video rigorosamente  user-generated, sta diventando specialmente in questi ultimi tempi un’abitudine per i media tradizionali più accreditati. In occasione dell’ondata di freddo e neve e immagini durante le ultime vacanze natalizie, le immagini targate Youreporter sono transitate su telegiornali e quotidiani locali nazionali: ma tra i contenuti inviati dai reporter fai da te ci sono anche le immagini del confine tra Israelel e Libano presidiato dagli italiani.

Il fenomeno suggerisce più di una riflessione. Anzitutto, sul problema delle fonti. L”utilizzo dei contributi – completamente gratuito, come specifica il sito – è possibile a patto di citare Youreporter, come da galateo giornalistico. Non sempre, tuttavia, questo banale requisito è stato rispettato: i navigatori non hanno mancato di farlo presente, rilevando le omissioni da parte di grandi testate (come il TG1). Eppure, avviene frequentemente su una Rete sempre ricca di contenuti e orfana di autori (o meglio dei loro nomi) che ci si serva dei contributi senza nominare la fonte. L’obiezione nasce forse non tanto dalla scorrettezza, ma dalla contaminazione mediatica: nel passaggio da un medium meno celebrity-oriented a uno che non solo è orientato alla celebrità, ma la fabbrica, il contenuto proveniente primo pretende (giustamente?) di godere del beneficio del secondo, reclamando il proprio posto al sole.

In secondo luogo, il caso Youreporter ci riporta al dibattito antico sull’importanza dell’attività editoriale. I contributi forniti da Youreporter sono eterogenei: in qualche caso si limitano a un’immagine con lapidario commento, in qualche altro sono costruiti come veri e propri servizi dall’inviato. Dal primo estremo al secondo esiste una varietà di livelli intermedi: tra i quali devono orientarsi i media più blasonati, che utilizzano i contenuti meno "costruiti" come farebbero con la "soffiata" di una fonte, e ripropongono invece – meno frequentemente – con minime variazioni quelli più articolati, limitandosi in qualche caso a "confezionarli" con il proprio marchio.  Nell’uno e nell’altro caso, il fine non è semplicemente "dare la notizia". ma arrivare a un prodotto editoriale completo, nel quale il valore non è dato solo (né tanto!) dal contenuto in sé, quanto dalla sua presentazione e diffusione.

Come per la musica  fai-da-te online (alla Vitaminic dei tempi andati, per capirci), non basta un’esibizione canora, per quanto piena di buona volontà e sia pure di buona qualità, per fare un successo musicale: ci vuole l’intervento l’etichetta, che si fa carico dell’attività editoriale, dalla registrazione alla distribuzione, a seconda delle necessità. E come abbiamo già imparato in quel caso, sottovalutare questo tipo di attività, magari in nome della diffidenza verso le logiche del mercato, non giova né al contenuto, né al suo autore – sempre che il fine di quest’ultimo sia raggiungere il grande pubblico. Insomma, che siano canzoni o notizie, alla notorietà di massa non si può aspirare senza accettare i suoi vincoli mediatici: in fondo, la stessa massa non è in qualche modo un’invenzione dei media?