Change! (ovvero: TV che vince si cambia)

Fiorello migra su Sky: e tutti a denigrare la gestione della Rai, il solito carrozzone statale senza visione, che lo ha lasciato andare via. Poi accade che Mike Bongiorno abbandoni il Biscione, reo di non aver rinnovato il suo contratto di esclusiva, per lo Squalo: e tutti a gridare alla decadenza della TV terrestre, a inneggiare alla nuova frontiera generalista del satellitare, a fare il tifo per il nuovo terzo polo targato Murdoch. Poi accade che Maurizio Costanzo lasci la scuderia Berlusconi per fare tardivo ritorno all'ovile, e condurre una trasmissione dedicata al teatro sulla TV pubblica: e tutti a alludere dandosi di gomito alla situazione disperata di Mediaset, alla sconfitta di (Pier)silvio, alla cecità del management che lascia scappare le colonne portanti dell'azienda.

In realtà, accade anche qualcos'altro – o è già accaduto. E' accaduto che molti transfughi de La 7, causa nuova (e più economica) gestione, abbiano nel frattempo trovato posto nella programmazione di Rai o Mediaset (Chiambretti e Bignardi, ad esempio); che alcuni volti più o meno noti di Sky si siano prestati anche alla TV terrestre (magari per sostituire volti ancora più noti, ma in rotta di collisione con la dirigenza televisiva, come Vinci); che per qualcuno che si rifugia sotto le pinne dello Squalo, qualcun altro ne fugge (come Afef, destinata a condurre un talk show sul nuovo canale satellitare di Rcs, "Lei", che ha rinunciato ancora prima di partire).

Come chiamare tutto questo? Difficile trovare un nome, specialmente per quelli che finora hanno parlato forse troppo in fretta ora di decadenza, ora di innovazione. Ancora più difficile abituarsi semplicemente all'idea di un cambiamento nel nostro panorama televisivo, nonostante lo si sia invocato per decenni, sperando che l'avvento delle nuove tecnologie (prima il satellite, ora il digitale terrestre) potesse di per sé realizzarlo. E ora che il cambiamento arriva, e non sono le tecnologie a portarlo, ma le persone, eccoci smarriti, disorientati, come nemmeno i concorrenti alla domanda finale da un milione di euro di un quiz di Gerry Scotti. A proposito, ma Gerry Scotti…

  • Paola Liberace |

    Emanuele: Forse ci sembra che non sia cambiato nulla perché tutto in realtà è già cambiato. Chi si aspettava rivoluzioni (ignaro delle lezioni della storia) magari guidate dalla tecnologia, magari mirate alla creazione di una nuova super-TV ibridata con la Rete, sarà forse rimasto deluso. Per quanto mi riguarda, non sono tra questi: e mi sembra già che la TV di oggi non abbia più nulla a che vedere con quella del 2001. Sbaglierò?
    Heriold: Cosa ne penso di terremoto e TV l’ho scritto in un altro post, che ho appena pubblicato. Da spettatrice, non posso che testimoniare la mia preoccupazione circa gli avvenimenti di questi terribili giorni (a parte la vicinanza geografica al luogo del sisma, mi lega a L’Aquila la passata esperienza di ospite della scuola di formazione di Coppito,). Ebbene, questa preoccupazione è stata sedata solo dallo stillicidio informativo cui tu fai cenno: e sebbene i giornalisti si siano dimostrati imperdonabili per invadenza e banalità nei loro contatti con la popolazione colpita dal sisma, capisco e giustifico gli eventuali errori nello svolgimento del loro compito. In fondo, sono uomini tra uomini, hanno messo loro stessi a repentaglio la vita: non dimentichiamocelo.
    Paola

  • Giorgio Penco |

    Questo commento non ha nulla a che vedere con il contenuto del post cui è associato. Piuttosto, essendo questo un blog che si occupa di televisione, rubo un piccolo spazio per chiederti cosa pensi dello sciupìo di risorse, parole, immagini, tesitmonianze, pareri, denaro e via elencando che in questi giorni vengono dedicati al terremoto (e in altre occasioni sono stati dedicati ad altri eventi). Tutto questo dispendio di risorse non corrisponde certamente all’esigenza di fare informazione in modo ragionevole; sapere cinque minuti prima che l’ultima scossa è stata di 3.4 Richter e cinque minuti dopo che ce ne è stata un’altra di 2.8 Richter non è un fatto di interesse effettivo irrisorio per quasi chiunque. Specie se in questo modo si comprime straordinariamente lo spazio dedicato a tutto il resto. Piuttosto si tratta di un modo di fare non informazione, ma spettacolo. Le immagini vengono trasmesse e ritrasmesse, le parole si ripetono sempre uguali e, quando per caso, due pareri non sono identici, si crea un caso sulla diversità di opinioni. Si intervistano infiniti e variegati interlocutori la cui opinione, in linea di massima, non ha alcuna ricaduta concreta sulla realtà dei fatti. In altri termini si gioca a creare emozioni piuttosto che a informare. Questa può essere una scelta più o meno discutibile, ma costituisce di per sé un fatto interessante e rilevante. Probabilmente assai di più della maggior parte delle cosiddette notizie che vengono trasmesse in continuazione dai massmedia riguardo al terremoto. D’altronde a questo fenomeno i giornalisti non amano dedicare molta attenzione e quando lo fanno, rimangono usualmente nel vago e nel generico, limitandosi a constatare la tendenza e a spendere su essa quattro chiacchiere. Non capita invece di sentire giudizi precisi e puntuali su giornalisti, trasmissioni o testate precisamente individuati (mentre quando non si parla di altri giornalisti, gli organi di informazione facilmente si spingono a fare nomi e cognomi, persino ove le notizie siano dubbie).
    Mi piacerebbe sapere cosa pensi tu di questo modo di fare giornalismo. E’ corretto? E’ inevitabile? E’ frutto delle richieste del pubblico? I giornalisti hanno delle responsabilità? Chi opera meglio e chi opera peggio?
    Per onestà debbo precisare che in tutto ciò i giornalisti del gruppo Sole24Ore si comportano spesso meglio di altri. Ma purtroppo, come tutti, tralasciano di giudicare la qualità del lavoro dei colleghi. In fondo sono tutti sulla stessa barca.

  • Emanuele |

    E’ dal 2001 che la televisione deve effettuare una pangenesi, ma finiti i furori della tecnologia, ora cambia tutto per non cambiare niente. Anche perché, cosa dovrebbe cambiare in realtà? Un altro modello di business non c’è attualmente. Tutto quello che si può dire di altro è decorativo o dispregiativo ma poco sostenuto dai fatti. I cambiamenti attuali, sono solo epifenomeni, non conosco miglior concetto per definirli.

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