Riesumare il passato è sempre istruttivo: ripescare vecchie fotografie, rileggere vecchie lettere, rispolverare vecchi vestiti, se non altro per riflettere su quanto si cambia. E così, qualche giorno fa, scorrendo uno dei miei vecchi articoli, mi sono sorpresa a scoprire di avere fatto – non poi così tanto tempo fa – affermazioni che oggi non ripeterei. Affermazioni, di per sé, nient'affatto sorprendenti: anzi, direi, decisamente comuni, non solo all'epoca, ma anche attualmente. Si parlava, naturalmente, di televisione: di evoluzione della televisione, in particolare della cosiddetta "personalizzazione".
Se ne è parlato per anni, sulla scorta della "convergenza" – altra fortunata parola d'ordine – tra web e tv; nella speranza che il primo, con il suo modello di fruizione attiva, di utente creativo e partecipe, fautore del proprio destino, contagiasse almeno in parte la seconda – che si voleva al contrario inerte, lobotomizzante e omologante. Se ne parla ancora, anche adesso che la situazione sembra decisamente mutata, non per effetto di studi ed analisi – che esistevano già allora -, ma dell'esperienza che ci ha portati altrove.
Cos'è successo? Dopo aver passato tanto tempo a convincere gli spettatori – e noi stessi – di quanto sarebbe stato bello uscire finalmente dalla massa indistinta del pubblico generalista per migrare verso una televisione fatta su misura, ad immagine e somiglianza dell'individuo, delle sue preferenze, dei suoi tempi, dei suoi gusti, siamo arrivati a un punto di non ritorno. Lo spettatore-individuo, messo di fronte alla sua libertà di scelta, ha incontrato quella che già una decina di anni fa Ellis (padredella distinzione tra età della scarsità, della disponibilità e dell'abbondanza televisiva) ha chiamato la "fatica" della scelta.
Nel passaggio dal comodo palinsesto lineare a un magmatico catalogo, più simile a un affollato suk che a un invitante menu alla carte; dalla semplicità della TV gratuita – o di un abbonamento mensile – allo stress del singolo pagamento di ogni film, di ogni episodio di serie TV, di ogni show; dalla rassicurante sensazione (se non esperienza diretta) della visione "comunitaria, testimoniata dalle oceaniche cifre Auditel, allo straniante isolamento della fruizione individuale; in questo passaggio lo spettatore che nella nuova TV personale non era "libero" di scegliere, ma "costretto" a scegliere.
Oppresso da questa fatica, sperduto e nel mare magnum delle opzioni, deluso da un'interattività forse non inferiore ma piuttosto diversa dalle reali aspettative, lo spettatore ha progressivamente percepito una solitudine sempre meno tollerabile. Un disorientamento che rischia di tradursi in una pericolosa disaffezione per l'innovazione: come hanno immediatamente compreso i pochi che, fiutata l'aria, hanno cominciato a correre ai ripari. Primo tra tutti, Google: il quale, come sappiamo, invece di seguire il generale mantra che vede nell'indiscriminato aumento dei contenuti disponibili la chiave del successo, ha preferito seguire la sua vocazione e proporsi come guida nei meantri del nuovo universo TV (dopo esserlo stata con successo tra quelli del web).
Ma altrettanto lungimiranti si sono dimostrati tutti quegli attori che, come molti produttori di TV connesse, o di servizi video, o di adattatori Internet per il piccolo schermo, hanno pensato bene di introdurre nei propri prodotti e servizi meccanismi di condivisione e raccomandazione dei programmi visti; che finiscono per ricreare almeno in parte l'atmosfera collettiva, se non direttamente esperita, di certo fortemente presentita dagli spettatori della TV tradizionale.
C'è chi vede anche in questa ultima evoluzione lo zampino – e il merito – del web: e attribuisce, ancora una volta, alla "proattività" di Internet la riaggregazione dei figli della TV ovunque dispersi, e finalmente riuniti sotto l'egida del "social". Dal punto di vista degli strumenti tecnologici, non ha certamente torto. Ma dal punto di vista della dinamica sociale (e non "social"), non facciamo che assistere a un dietro-front, a un ritorno a modelli più antichi – e in origine televisivi -, rispetto agli imperativi di qualche anno fa, anche allora rivendicati alla Rete. Semplicemente era meglio accompagnati, che soli: ora lo sappiamo.