Durante la presentazione del “Libro Bianco sui contenuti”, frutto di due anni di intenso lavoro da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni, è più volte risuonata la parola “convergenza”, e proprio a proposito dell’argomento fondamentale dello studio: i contenuti dei media. La convergenza è, in verità, il presupposto della possibilità stessa di parlare di contenuti come entità autonoma, accessibili a prescindere dalle reti (ormai unificate nello standard digitale) e dalle piattaforme, la condizione necessaria di quello che il libro dell’AGCOM chiama processo di “dematerializzazione”, che li svincola dal supporto fisico per assicurare loro la possibilità di una nuova vita virtuale.
Prospettiva suggestiva, almeno in potenza. Ma la situazione in atto differisce sensibilmente da questo quadro, non foss’altro per le vicissitudini che ancora coinvolgono gli attori della scena mediale. Sia quelli che il rapporto chiama “aggregatori”, che si muovono ancora prevalentemente nell’ambito della Rete, e appena provano a uscirne (come ha fatto Google con la Tv) sperimentano severe difficoltà. Sia le società che producono e distribuiscono contenuti, impegnate a tutt’oggi alla ricerca della riformulazione in grado di trasferire tali prodotti dal media per cui sono stati originariamente concepiti ad altri distanti, e non sempre con successo. Sia i professionisti del settore, che valicando i confini delle proprie specialità, vincolate a una certa forma comunicativa, si confrontano con inattese difficoltà. Commentando il libro, Mario Morcellini ha evidenziato proprio la mancanza di un’attenzione specifica per l’industria culturale e per le routines produttive in gioco.
Non tutto quello che è possibile è anche reale: il brivido dell’onnipotenza, dato dalla digitalizzazione e dalla relativa caduta dei limiti di trasmissibilità e persino di producibilità dei contenuti, si placa di fronte all’andamento effettivo del mercato, che accanto a processi fecondi (come l’entrata nella catena del valore di nuovi soggetti, o la democratizzazione della comunicazione) ne registra altri che culminano in un vicolo cieco. O almeno così pare, continuando a leggere l’industria dal punto di vista dell'”inesorabile” convergenza. Chissà che rivedendo questo punto di vista, guardando a ciò che gli utenti davvero fanno dei media e dei loro contenuti, constatando la peculiarità di ogni mezzo rispetto agli altri, e agendo di conseguenza – anche a livello regolatorio -, il quadro non cambi.
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