I giornalisti twittano sempre di più: e le agenzie e le redazioni di cui fanno parte si sentono sempre più in dovere di metterli in guardia, o addirittura di emanare linee guida di condotta sui social network. La vicenda, raccontata da Luca Salvioli sul Sole di lunedì scorso, rappresenta solo una delle tessere del mosaico che il libro appena uscito per Mondadori Università, e curato da Mario Morcellini, chiama "neogiornalismo", in bilico "tra crisi e Rete".
Ma nella pratica giornalistica del web che ha spinto i grandi brand dell'informazione a correre ai ripari non c'è solo la crisi di reputazione, il deficit di credibilità, il problema delle fonti – tutti ingredienti dell'emergenza che travolgere la professione (ma in uno dei saggi del libro si ricorda come già a fine Ottocento c'è chi parlasse di crisi del giornalismo). C'è anche quella che, ormai diversi anni fa, il Cluetrain Manifesto fotografava come la tendenza dei mercati a sciogliersi nelle conversazioni. E il mercato delle news, composto da aziende e da dipendenti – per quanto non comunemente individuati come tali – non fa eccezione.
Se Associated Press, Reuters, o la stessa BBC (anche se più succintamente, e più saggiamente) invitano i propri redattori e cronisti a tenere nettamente separato il personale dal professionale sul web, soprattutto quando si tratta del web 2.0, non è soltanto perché temono per la propria autorevolezza: ma anche perchè le loro pratiche discorsive, gli scambi di opinioni, la corsa solitaria a dare prima di tutti la notizia minano alla base la loro dimensione di "corporate", per lasciare spazio alle individualità che le compongono e le sostengono.
L'approccio "top-down" e quello "bottom-up" si ritrovano così a incontrarsi e scontrarsi grazie agli strumenti della cultura convergente, come efficacemente ha spiegato Jenkins. Ma più che di convergenza, forse sarebbe il caso di parlare di dialettica: rispolverando un termine antico, magrai desueto, ma che meglio di altri può spiegarci l'opposizione delle forze e la loro continua rincorsa a superarsi, che tiene in vita entrambe. Il giornalismo non finirà, né sarà la Rete a ucciderlo: ma il confronto tra il primo e la seconda ha portato ormai alla luce lo scarto tra la realtà apparentemente monolitica della notizia e le sfaccettature che trapelano dalla sua costruzione, narrazione e diffusione.