Forse è solo questione di
tempo. Il fatto che, come afferma Stefano Bartezzaghi, per fare ricerca si
debba ancora lavorare molto nell’”analogico” potrebbe sembrare legato a un
fattore meramente temporale: diamo tempo alla digitalizzazione delle fonti di progredire,
diamo modo all’indicizzazione dei testi digitali di avanzare, e prima o poi
sarà possibile fare vera ricerca a tutti gli effetti su Google e Wikipedia. In
condizioni di completo trasferimento del patrimonio documentale dall’analogico
al digitale, infatti, la distinzione tra “trovare quel che si sa di X” e
“trovare quel che di X non si sa ancora” non è più sovrapponibile a quella tra
i due ambiti.
E’ vero, non siamo affatto
sicuri che la carta stampata venga prima o poi del tutto soppiantata dal linguaggio
dei bit. Ma anche se questo trasferimento non venisse mai completato, non è
affatto detto che “trovare quel che di X non si sa ancora” significhi ricorrere
ai documenti cartacei. Per dirla in due parole, prima della distinzione tra
analogico e digitale viene quella tra mondo e discorso, tra cose e parole, tra
il reale e le descrizioni e narrazioni che lo riguardano. La ricerca ha da
sempre attinto al primo ambito per alimentare il secondo: e continuerà a farlo
anche quando queste descrizioni e queste narrazioni passeranno per reti di
dati, invece che per fogli e pagine.
In questo senso, Bartezzaghi ha
ragione: come avrebbe detto Shakespeare, ci sono più cose in cielo e in terra
di quante ne possiamo immaginare nei nostri siti, nei nostri tweet, nei nostri
post e nelle nostre voci di Wikipedia. Ma se fare ricerca – anche qui, da
sempre – significa guardare tanto alle cose quanto alle parole, è ragionevole
pensare che i “cari vecchi libri” possano essere egregiamente sostituiti da
documenti online anche a questo scopo. Quel che conta è che il trattamento
delle fonti, che siano fisiche o digitali, cartacee o online, sia sempre
critico, obiettivo, attento: la ricerca sarà tanto più attendibile quanto più
si baserà su materiali di qualità e sappia farne buon uso. Ma questa, si sa, è
un’altra storia.