Solo pochi anni fa, ogni emittente TV aveva i suoi "volti". E questo non solo in Italia (dove la transmigrazione di personaggi come Baudo e Carrà alle reti del Biscione fece scalpore) ma anche all'estero, ad esempio negli Stati Uniti (basti pensare alla NBC di Jay Leno o alla CBS di David Letterman). Oggi un simile scenario è quanto meno improbabile, ma è addirittura diventato impensabile con il dilagare del lifestyle come fenomeno televisivo di massa.
Personaggi come Alessandro Borghese, Csaba Dalla Zorza, Andrea Castrignano non solo entrano ed escono dai canali TV "nativi digitali", firmando e disdicendo contratti con le produzioni, ma curano propri canali YouTube e/o web TV, scrivono su magazine on- e offline, firmano persino linee di oggettistica e merchandising (oltre naturalmente ad affacciarsi dai rispettivi siti web). All'irrequietezza dei volti nostrani fa riscontro quella di star straniere come l'onnipresente Gordon Ramsay, come Anthony Bourdain o Nigella Lawson, che transitano di programma in programma, e conseguentemente di emittente in emittente, senza che nessuna di esse riesca a stare al passo con la totalità dei format a cui si prestano.
Niente di nuovo, né quanto alla mobilità televisiva delle celebrities né quanto alle strategie di personal branding: o forse sì, se quella che emerge attraverso entrambe è una nuova forma di storytelling, non più incentrata su una sceneggiatura più o meno fictionale, ma su un personaggio che attraversa i vari media, con il proprio volto, la propria expertise, la propria biografia. Ad essere transmediali qui non sono le storie, ma i loro protagonisti, sui quali i programmi vengono ormai "ritagliati": come puntate successive di una storia personale che è insieme pubblica, e che rispetto alle sceneggiature fictionali ha il pregio di non essere suscettibile di interruzione per il venir meno della materia.