Come leggere i deludenti risultati del 2Q15 dichiarati nelle scorse settimane dalle pay TV statunitensi? Strategy Analytics vede il bicchiere mezzo pieno: se è vero che gli abbonati dei primi 20 operatori calano complessivamente di 479K unità, è vero anche che l’ARPU di operatori come Dish, DirecTV, Charter, e Time Warner Cable è aumentato. Meno clienti, quindi, ma più preziosi: e quindi con un bilancio che complessivamente tiene.
Sulla stessa linea The Diffusion Group, che minimizza il cord-cutting : un effetto largamente sopravvalutato e che verrà presto ridimensionato, visto che né il risparmio, né la qualità dell’esperienza di fruizione garantiti dalle offerte over-the-top TV sono al momento tali da giustificare una fuga dagli abbonamenti tradizionali. Ma c’è anche chi passa al setaccio le principali news che sostengono la tenuta della TV “classica”, e con l’ausilio dei dati di fruizione insiste sull’andamento decisamente in declino degli ascolti dei cable operators. Il fenomeno non riguarderebbe solo gli USA, ma anche il mercato europeo più interessante, quello britannico, sia pure con percentuali sensibilmente diverse.
La domanda a questo punto potrebbe essere: dove sono finiti questi spettatori? La tentazione di rispondere che ora guardano Netflix, o Amazon Prime Instant Video, o qualsiasi altro servizio di video online, è facile da reprimere, se si considera che di tutti costoro continuiamo a conoscere il numero di sottoscrittori, ma non disponiamo di alcun dato ufficiale sulle fruizioni. Nè esistono al momento sufficienti elementi, a parte i sondaggi su motivazioni e intenzioni – proprio come quelli che Colin Dixon demistifica a proposito della TV tradizionale -, per stabilire una relazione diretta di causa ed effetto tra la cessazione di un abbonamento pay-TV e la “conversione” allo streaming. Quale che sia dunque la verità sul “taglio della corda”, l’impressione è che siamo ancora lontani dal conoscerla.