(pubblicato nel mensile di Giugno 2018 della Fondazione Ottimisti e Razionali su Il Foglio)
È la montagna ad andare a Maometto o Maometto ad andare alla montagna? O per dirla con un noto conduttore televisivo: siamo noi a muoverci per raggiungere il mondo, o è il mondo a muoversi verso di noi? Quando si afferma che la mobilità è una caratteristica essenziale del nostro tempo, è importante distinguere. In origine, ad essere mobili sono le persone: nel corso dei secoli, l’evoluzione dei mezzi di trasporto e delle infrastrutture ha consentito loro di spostarsi sempre più spesso, trascorrendo in viaggio non solo l’eccezionale momento del trasferimento in altro paese, regione o città, per ragioni turistiche o lavorative, ma più momenti della stessa giornata, più giornate, con o senza una precisa meta finale, come novelli cavalieri erranti. Da eccezione, la mobilità diventa in età contemporanea la regola, presto supportata da facilitazioni burocratiche e normative, con accordi sovranazionali che legittimano la portabilità dell’identità civica e dei diritti individuali da un confine all’altro. Con l’avvento del digitale, quando alle infrastrutture di trasporto si aggiungono quelle di comunicazione, ad accompagnare il viaggiatore non sono più solo la sua carta d’identità valida per l’espatrio o la sua assistenza sanitaria, ma informazioni, relazioni, servizi, veicolati da una connessione sempre più ubiqua. Da ultimo, ci siamo abituati a considerare tanto normale questa affollata compagnia da pretendere che anche i nostri film, le nostre serie tv, le nostre canzoni preferite varchino le frontiere insieme a noi: e dopo l’abolizione delle tariffe di roaming, antistorico retaggio dell’epoca in cui comunicare all’estero rappresentava una costosa eccezione, oggi anche il geoblocking, che rende illegale la fruizione di contenuti digitali fuori dal territorio nazionale nel quale sono stati acquistati, è in discussione.
Proprio la connessione rappresenta il perno facendo leva sul quale la mobilità si rovescia nel suo opposto. Internet ha portato il mondo intero ai nostri piedi: sul suo terreno hanno attecchito semi già pronti per essere piantati, e sono germogliati grazie al fertilizzante della velocità. Basti pensare all’acquisto con consegna a domicilio: la combinazione di comunicazione istantanea dell’ordine e di rivoluzione logistica della distribuzione ha trasformato i cataloghi cartacei di merci da consultare, scegliere, ordinare al telefono o per posta e ricevere a casa propria in marketplace come Amazon, diventati la regola, invece che l’eccezione, del commercio. O ancora, è noto il caso dei noleggi di videocassette e DVD: la capillare rete territoriale che rappresentava il fiore all’occhiello di società come Blockbuster non ha potuto nulla di fronte all’ubiquità della distribuzione video online, che dai brevi filmati in streaming ha via via colonizzato i territori televisivi e cinematografici, fino a trovare il modello di business vincente nell’abbonamento mensile Netflix-like a un assortimento di contenuti pressoché sterminato, tutti immediatamente disponibili sullo schermo di casa, spiazzando definitivamente la concorrenza analogica. O infine, la fatica della ricerca, del reperimento di informazioni, che sia a fini burocratici, meramente documentali, investigativi o scientifici, con la consultazione di archivi polverosi, il prestito interbibliotecario, gli infiniti scaffali da passare in rassegna, diventa improvvisamente un inattuale retaggio quando arrivano Google e i suoi fratelli, con la potenza dell’algoritmo che scandaglia e ordina dapprima le pagine web, poi via via i documenti, i libri, le immagini, i video, le notizie, persino le merci, i luoghi fisici e gli oggetti che li abitano.
Il tutto in real-time, o quasi: ma il tempo, si sa, è una dimensione dello spazio. La velocità, l’istantaneità, l’accelerazione sono gli abilitatori della società senza distanza, come è stata già battezzata: nella quale assistiamo all’azzeramento delle lontananze che dovevano in origine essere coperte fisicamente, sia pure con mezzi di trasporto sempre più rapidi. Quando la Rete raggiunge il traguardo dell’ubiquità e la connessione si fa pervasiva, spostarsi diventa una scelta tutt’altro che obbligata: il viaggiatore, il ricercatore, il pendolare, il forzato della transumanza domenicale al centro commerciale cambiano prospettiva e cominciano a considerare l’idea di fermarsi. Le informazioni, le merci, i luoghi possono raggiungerli a prescindere dal luogo in cui si trovano, consentendo quindi loro di scegliere quello che preferiscono. Diventa ad esempio possibile leggersi un buon libro a chilometri di distanza dalla più vicina libreria (purché si sia abbastanza vicini a un hotspot): secondo l’ultimo rapporto AIE, nel nostro paese la quota di mercato detenuta dalle librerie online raggiunge nel 2016 il 17%, superando quella della GDO e continuando la marcia di avvicinamento verso le librerie tradizionali, la cui quota è invece in calo. Gli acquisti effettuati su Internet non solo ci raggiungono, ma potrebbero essere capaci addirittura di inseguirci: con l’autorizzazione della Federal Aviation Administration, arrivato nel mese di Maggio, ai primi 10 progetti pilota di droni “cargo”, sembra meno lontano il momento in cui la consegna dei pacchi con il servizio Prime Air di Amazon diventerà la normalità, ma si può già immaginare che il requisito che la consegna avvenga nel giardino di un’abitazione o in un punto di atterraggio predefinito possa venire meno in un futuro non lontano, per basare il servizio unicamente sulla geolocalizzazione dell’individuo acquirente – ovunque si trovi. Chi vuole dare un’occhiata a una città, a una strada, a un’attrazione turistica, in una parola a qualsiasi punto della superficie terrestre già coperta dal servizio, può da tempo affidarsi a Google Street View: che lo faccia per controllare un indirizzo, per localizzare un edificio o per esplorare “le meraviglie della natura e i luoghi più interessanti del mondo” (come recita la descrizione sintetica del servizio fornita dalla stessa Google sulla pagina di ricerca), il tutto senza varcare la soglia di casa. Non è più necessario muoversi neppure per dare il proprio contributo a salvare vite umane: dopo l’operazione all’intestino di un paziente portata a termine nello scorso ottobre al Royal London Hospital dal dottor Shafi Ahmed, il primo ad interagire tramite la realtà virtuale durante l’intervento con due suoi colleghi in altri ospedali, un team di studenti italiani sta lavorando per dare la possibilità di condividere il campo visivo in sala operatoria tra chirurghi che si trovano in luoghi diversi.
L’orizzonte forse più promettente della mobilità è quello del lavoro – già a distanza, già nomadico, oggi finalmente agile. Le possibilità dischiuse dalla Rete hanno dapprima consentito ai professionisti, sia dipendenti che autonomi, di comunicare con maggiore rapidità ed efficienza, per poi svincolare del tutto l’attività svolta e le sue condizioni abilitanti dalla presenza in un ufficio. Le responsabilità, i compiti, gli strumenti raggiungono ormai il lavoratore ovunque si trovi; la qualità delle relazioni tra colleghi diventa sempre più ricca grazie alle stesse reti sociali che avvicinano le persone significative, a dispetto di prolungate assenze; l’appartenenza e l’operatività in un’organizzazione non coincidono più con la permanenza in una sede aziendale. Non è un caso che il mercato dell’enterprise mobility management, il complesso delle tecnologie per gestire i dispositivi e le applicazioni in mobilità dei dipendenti, sia previsto in continua crescita dagli analisti (25% di tasso composto di crescita annuo fino al 2021 secondo 451 Research). Il lavoro, insomma, cessa di essere un luogo per diventare un’occupazione; lo smartworking, prima che un complesso di regole, di incentivi e di benefici fiscali, è uno stato della mente, nel quale si risveglia qualsiasi organizzazione che abbia smesso di badare a timbrature e presenzialismo e abbia cominciato a concentrarsi su obiettivi e risultati.
Il destino della mobilità parrebbe essere la stanzialità: è la montagna ad andare verso Maometto. Una connettività capillarmente diffusa potrebbe favorire l’emersione di nuovi punti focali sul territorio, individuati dalla loro capacità di mettere in circolazione energie creative, imprenditoriali, culturali, anche senza le infrastrutture “pesanti” di collegamento che oggi definiscono i centri nevralgici. Non è solo la rivincita della periferia, ma dell’immobilità: la nostra, finalmente a riposo sul divano di una casa di paese, mentre intorno a noi sfrecciano parole, immagini, relazioni, oggetti, come anime in un girone dantesco – e forse con la stessa nostalgia di pace.