Nel loro “Manifesto per un nuovo bene pubblico digitale”, pubblicato sulle pagine di questo quotidiano lo scorso 12 agosto, Massimo Chiriatti e Marco Bentivogli individuano nella tecnologia Blockchain uno strumento utile e prezioso per gestire la sicurezza e la riservatezza delle informazioni nelle filiere. I due autori esplorano una serie di possibili ambiti di applicazione, in primis produttivi e di business, nei quali Blockchain può validare relazioni economiche e professionali e più in generale abilitare il trasferimento di valore a tutti i livelli, inaugurando l’era della Internet of Value.
Tra i valori che possono essere interessati da questa evoluzione credo debba rientrare il valore del sapere, e più in particolare del sapere trasmesso e acquisito in sede di apprendimento, tanto scolastico e accademico quanto professionale. In questo senso, due anni fa, nel mio contributo a un paper collettivo, poi recentemente pubblicato in un volume miscellaneo, avevo messo in relazione la trasformazione digitale delle imprese e la nascita di nuove organizzazioni smart nelle quali, tra l’altro, l’acquisizione di nuove skill digitali da parte dei lavoratori potesse essere certificata attraverso un modello ispirato a Blockchain. Pochi mesi dopo, nell’ottobre del 2016, il MIT Media Lab, nell’ambito della sua Learning Initiative e in collaborazione con Learning Machine, ha annunciato il lancio di uno standard aperto per il rilascio di attestati accademici, basato su Blockchain e denominato BlockCerts. In Italia, a seguire le orme del MIT è stata per prima l’università di Pisa, che nello scorso mese di luglio ha adottato il registro condiviso per la certificazione dei titoli rilasciati. Perché utilizzare Blockchain in ambito formativo? Perché, come spiega Philipp Schmidt, Director of Learning Innovation del MIT Media Lab, grazie al suo sistema di credenziali decentralizzato, quindi a prova di manomissione, è verificabile, e in quanto aperto consente il controllo ai possessori del titolo e l’interoperabilità con altri sistemi di credenziali.
Si potrebbe ulteriormente domandare per quale motivo la formazione, in ogni suo grado, dovrebbe rivendicare un posto tra gli ambiti per i quali Chiriatti e Bentivogli auspicano che il nostro paese diventi pioniere nell’adozione convinta della soluzione Blockchain, come quello del cibo made in Italy. Istruzione e ricerca rappresentano il fondamento della crescita non solo produttiva, ma culturale e quindi civile di un paese: la spesa in questi due settori costituisce di per sé un indicatore dell’investimento che il paese realizza su se stesso e sul proprio futuro. Questo vale, naturalmente, a patto che si tratti di un investimento di qualità, in grado di produrre risultati misurabili e verificabili, al di là della proliferazione (e divulgazione) di attestazioni non sempre di natura solida. Il conferimento di diplomi basati su smart contracts, che traccino il percorso di studi seguito e convalidino l’effettiva acquisizione di competenze, agendo da “fornitori di fiducia”, potrebbe conferire un impulso del tutto nuovo persino al pluriennale dibattito sulla possibile abolizione del valore legale del titolo di studio.
Tra i tanti valori che il nostro paese deve coltivare e difendere, quello del sapere, della conoscenza e della competenza mi sembra il più urgente e bisognoso di essere dichiarato tale. Una dichiarazione da rendere non solo pubblicamente e ad alta voce, ma in modo che resti scolpita nella nostra coscienza civile. Il registro distribuito di Blockchain, che convalida informazioni in maniera trasparente e potenzialmente eterna, mi pare da questo punto di vista lo strumento ideale.