La Tv aggrega, lo smartphone no, la Smart TV chissà. Il quadro che emerge dalla ricerca alla base del primo rapporto Censis-Auditel su “Convivenze, relazioni e stili di vita delle famiglie italiane”, presentato oggi pomeriggio nella sala Zuccari del Senato, non suona nuovo a chi ha già frequentato queste pagine: da queste parti infatti la notizia, grandemente esagerata, della morte della TV era già stata da tempo accantonata per fare posto a una lettura diversa dei consumi mediali degli italiani (e non solo), all’insegna della varietà di “giochi mediali”.
Stando al rapporto, non solo la TV resiste, con il 97% delle famiglie italiane che possiede almeno un televisore; non solo la presenza di questo dispositivo nelle case è correlata all’ampiezza del nucleo familiare e dalla sua condizione socioeconomica; ma la contemporanea pervasività della presenza di dispositivi personali, come gli smartphone (posseduto dal 97,2% delle persone tra 18 e 34 anni e dall’85,8% di quelle tra i 35 e i 64 anni), e l’avanzata degli altri dispositivi audiovisuali collegati al web, come le smart TV (presenti nel 19,3% delle famiglie), conferma il delinarsi di uno scenario sfaccettato, composito, vario. In questo ecosistema, dalla lenta evoluzione, gli organismi mediali convivono ognuno con la sua specificità: la TV non è morta, perché nessun mezzo di comunicazione ne “uccide” un altro, ma i nuovi arrivati si dispongono ad affiancare i vecchi occupanti, completandoli, insinuandosi nelle pieghe del tempo personale, familiare e professionale, che si fa così pervaso di media senza più soluzione di continuità.
I vecchi e i nuovi media, gli uni accanto agli altri, si specializzano ognuno in un particolare genere di fruizione, con i suoi luoghi, i suoi tempi e le sue regole. Il gioco mediale che prevede la visione condivisa in famiglia di un programma trasmesso in broadcast prevede protagonisti e richiede condizioni e ritmi del tutto peculiari, e del tutto diveri da quelli dell’altro gioco mediale, che vede a ogni persona corrispondere uno smartphone , utilizzato da 28 milioni di nottambuli, da 11,8 milioni di disadattati relazionali, da 3,4 milioni di litigiosi (dati da una ricerca Censis 2018), nessuno dei quali tuttavia riesce a farne a meno. In questo contesto, leggere la Smart TV come un semplice crossover tra i due mondi appare tuttavia a rischio di semplificazione: il grande schermo che si apre al web non è riducibile né all’uno né all’altro dei due modelli, ma deve essere interpretato come un nuovo gioco mediale, la cui reale natura può essere investigata solo da un’etnografia del consumo neotelevisivo.
La cattiva notizia è che questo genere di indagine si preannuncia decisamente più complessa e forse meno fattibile di una ricerca quantitativa, sia pure rigorosa e accurata come sempre nella tradizione del Censis. La buona notizia d’altro canto, è che forse la crisi della relazione, proposta da Giuseppe De Rita come chiave di lettura dell’evoluzione del panorama mediatico (che evidenzia secondo De Rita la stessa deriva individualistica di quello politico) non è né ineluttabile né universale: spiega molto, certo, ma non tutto, almeno nell’ambito dei media. E forse non solo.