In questi giorni di forzata permanenza domestica è difficile evitare di ripetersi. Le giornate rischiano di riprodursi tutte uguali; la varietà delle esperienze, delle sensazioni, delle azioni e delle reazioni assicurata dal contatto con l’esterno viene meno. Non si tratta certamente del rischio più grave tra quelli che corriamo in questo momento, eppure rappresenta una buona occasione per riflettere su tutto quello che dà senso alle nostre giornate.
La ripetizione ci spaventa, ci ha sempre spaventato. In particolare è nell’era industriale, fino alle soglie del Novecento, che viene messa a fuoco come una minaccia tra le più temibili per la nostra umanità. Un filosofo come Nietzsche considerava la più ardua delle sfide per l’uomo l’accettazione – o meglio ancora la scelta volontaria – dell’“eterno ritorno dell’uguale”. Intellettuali e scrittori provenienti dalla stessa area geografica – la Mitteleuropa germanofona – si sono affiancati a lui in questa denuncia. Come scrive Aldo Giorgio Gargani,”la grande cultura mitteleuropea (da Freud a Schönberg, da Wittgenstein a Musil) è una lotta contro il ‘terribile potere della ripetizione'”. Per Musil, la ripetizione è intimamente connessa al dominio “razioide”, come lo definisce: una caricatura della razionalità, una sorta di patologia della ragione, un ambito che “abbraccia – delimita approssimativamente – tutto ciò che è scientificamente sistematizzabile, che può essere riassunto in leggi e regole […] caratterizzato da una certa monotonia dei fatti, dalla preponderanza della ripetizione”.
Il dominio razioide è quello della tecnica, opposto a quello dello spirito e suo nemico. Per Musil lo scopo della scrittura, scrive ancora Gargani, è “sottrarsi alla Mechanisierung, alla concatenazione causale e alla legalità meccanica degli eventi, per riscoprire l’ordine delle possibilità alternative nelle quali può essere inscritta l’esistenza umana ritrovando l’istanza del senso”. La scrittura è “l’unica condizione per sottrarsi al terribile potere della ripetizione, per sottrarsi al pericolo di costruire ancora una volta la replica di una società basata sulla ripetizione nevrotica”. Nelle opere di un altro grande scrittore austriaco, Thomas Bernhard, ogni personaggio ripete il discorso di qualcun altro, ma variandolo a ogni ripetizione, in una spirale che avanza con fatica, ancorché inesorabilmente: ogni frase è la stessa, eppure un’altra (“Dasselbe ist nicht das gleiche”, ripete uno dei suoi personaggi teatrali). Resistere alla ripetizione è allora un tentativo di restaurare il senso, sfuggendo al dominio razioide in cui dasselbe, lo stesso, è anche das gleiche, l’uguale.
La scrittura, la creazione artistica, la produzione intellettuale sono state modi per liberarci dalla ripetizione. Un altro modo per farlo che abbiamo escogitato è stato quello di delegarla alle macchine. Lungo la storia della produzione manifatturiera abbiamo progressivamente affidato all’automazione le attività più alienanti; e sin dal principio questa delega ha incontrato l’opposizione di quanti hanno temuto che la sostituzione della manodopera umana a opera delle macchine portasse infine alla disoccupazione di massa. La quarta rivoluzione industriale non ha fatto eccezione, opponendo catastrofisti e ottimisti: con i primi impegnati a prospettare scenari disastrosi basati sulla proiezione dei dati correnti, senza tenere in alcun conto l’evoluzione del contesto, e con i secondi impegnati ad argomentare, con assai maggiore ragionevolezza, la possibilità di governare i processi, purché vi siano la volontà politica, la consapevolezza culturale e la partecipazione sociale alla progettazione della nuova realtà.
Tuttora deleghiamo alle macchine – o, se preferite, alle intelligenze artificiali – soprattutto il lavoro ripetitivo, routinario: affidiamo loro i compiti tipici della nostra memoria procedurale, quella che presidia i comportamenti automatici. Si tratta di azioni che svolgiamo appena sotto il livello della coscienza, come camminare, o guidare, o andare in bicicletta: attività che “sappiamo” come fare, che non richiedono una riflessione, ma devono solo essere svolte con la maggiore efficienza possibile. Adottare forme sempre più efficienti di automazione, fino a quelle abilitate dal machine learning, è una forma di supporto per il sensemaking umano, per il quale la ripetizione è letale. Dovremmo ricordarcelo, in questi giorni forzatamente ripetitivi: dovremmo ripensare a quando sforniamo parole, gesti, atti puramente formali, poveri di significato, fatti di linguaggi schematici, senza alcuna comprensione, senza alcuna cura. E per tutto il resto, c’è l’intelligenza artificiale.