Tra le voci che in questi giorni corrono sulla sorte del settore delle comunicazioni italiane – Rai e Mediaset battute da Sky, Sky che compra Telecom, Berlusconi che tenta di frenare Sky – ce n'è una particolarmente interessante, che riguarda la misurazione dell'effettiva forza della piattaforma satellitare. Sky totalizza il 9% degli ascolti, si dice: ma se si includessero anche i risultati dei canali generalisti (Rai e Mediaset) inclusi nella piattaforma, si arriverebbe ben oltre, fino al 30%.
Una simile ipotesi sembrerebbe dar ragione a chi giura che i due poli televisivi nazionali, con l'ausilio del digitale terrestre, si stiano organizzando per portar via i loro canali a Murdoch; e addirittura stiano valutando l'opportunità di costituire una propria piattaforma satellitare (che fungerebbe anche da supporto per la trasmissione digitale nelle aree non raggiunte dal segnale), alternativa a quella dello Squalo.
Ma il dettaglio più interessante dell'indiscrezione riguarda la misurazione Auditel. Come si misura il successo di un'entità come Sky? Finora, evitando l'argomento dell'audience, la valutazione di Sky si è sempre basata sui risultati economici – di tutto rispetto, tanto da giustificare la definizione di "terzo polo" già da tempo (ben prima di quando i detrattori del presunto duopolio televisivo italiano sarebbero stati disposti ad ammettere). Nell'ottica dell'Auditel, il discorso si complica: quali sono gli ascolti effettivamente attribuibili a Sky? Assodato che Murdoch di fatto fa l'aggregatore di canali altrui – esercitando una vera e propria attività editoriale quasi solo nel caso di SkyTG24 -, a chi va il merito dell'audience riscossa: a lui, o agli editori dei canali che aggrega? In quale misura, insomma, si possono adottare criteri omogenei di valutazione degli ascolti tra Rai (azienda radiotelevisiva pubblica), Mediaset (azienda rdiotelevisiva privata) e Sky (piattaforma satellitare aggregatrice di canali televisivi)?
La domanda si fa ancora più interessante se si pensa alle ripercussioni della questione sulle altre piattaforme televisive, come il digitale terrestre, la IPTV o la Mobile TV. L'allargamento del bacino di misurazione dell'Auditel anche a questi ultimi (il monitoraggio del primo è già una realtà, e ha appena cominciato a offrire evidenze interessanti come quella su Boing) pone lo stesso problema di omogeneità, e spinge a chiedersi se e cosa possa essere misurato in termini di ascolti; di più, se questo tipo di misurazione – più volte contestata e messa in forse anche per la televisione generalista analogica, tanto da auspicarne l'abolizione come ha fatto tra gli altri Roberta Gisotti – possa davvero rendere conto in tutto e per tutto del successo di un programma, di un'emittente, di un network. Persino di una piattaforma, che magari macina utili già da tempo, e non ha mai fatto dell'ampiezza indifferenziata del suo pubblico il suo vero obiettivo.