Che fine ha fatto il PVR, meglio conosciuto come Personal Video Recorder? Sarebbe interessante oggi tornare a interrogarsi sullo stato di salute del videoregistratore digitale, dopo anni di previsioni entusiastiche e altrettanto mirabolanti allarmi sulla fine della TV tradizionale per "colpa" del nuovo device. Le ricerche condotte da analisti come Forrester, Nielsen, Magna Global e Yankee Group qualche anno fa parlavano di un numero tra 25 e 35 milioni (ma Strategy Analytics si spingeva fino a 71 milioni) di case dotate di PVR entro il 2008, con una penetrazione entro il 2010 del 50% tra gli utenti USA, e fino al 25% tra gli utenti europei (ma per Datamonitor si sarebbe trattato di un più realistico 8,9% entro il 2008; secondo l’E-Media Institute, nei primi 5 paesi europei i televisori dotati di DVR nel 2007 sarebbero stati più di 3 milioni).
Peraltro, diversi studiosi (tra cui Maurizio Goetz) avevano fatto notare da subito come a questa espansione inarrestabile sarebbe corrisposto un irreversibile declino del modello di business su cui la televisione comunemente intesa basa la sua esistenza. Oltre a consentire di spostare in avanti la visione di un certo programma o di registrarlo mentre se ne guarda un altro, il nuovo device avrebbe consentito di "scartare" gli spot inseriti nel programma stesso, obbligando i pubblicitari e gli inserzionisti a rivedere i criteri di
valutazione e di investimento sulle varie trasmissioni TV. Secondo uno studio commissionato da TiVo e Starcom e datato 2003, a saltare le pause pubblicitarie nel rivedere le trasmissioni registrate sarebbe stato il 77% degli utenti intervistati; una ricerca della CBS parlava del 64%, mentre per Forrester era la quasi totalità (il 92%) degli spettatori a dichiarare di essere incline a sfruttare pienamente una simile caratteristica. E se le ultime statistiche disponibili correggono la cifra lievemente al ribasso (80% per gli utenti TiVo e 82% per quelli di altri servizi PVR in commercio), la sostanza non cambia.
Una minaccia consistente per gli inserzionisti: nonostante la quale, tuttavia, la diffusione del PVR restava allettante per i broadcaster, i quali (come mette bene in luce un sunto curato dalla European Broadcasting Union) si guardavano bene dal rinunciare alla possibilità di aumentare la fedeltà dei loro telespettatori attraverso il servizio. Per rassicurare gli interlocutori pubblicitari, le principali reti televisive americane (dalla CBS alla ABC, dalla NBC alla FOX e
alla WB), avevano commissionato nel 2005 la realizzazione di un rapporto (sul cui lieve bias era quanto meno lecito nutrire qualche sospetto) secondo il quale il numero di telespettatori complessivi dei
principali programmi televisivi era aumentato a partire
dall’introduzione dei PVR. Cambiando l’ordine degli addendi, tuttavia, la somma non cambia: il problema degli investitori permane intatto nonostante questi dati, essendo rilevante ai loro fini non il numero di spettatori in generale (ossia l’audience), ma quanti tra questi avevano effettivamente visionato lo spot (ovvero, i contatti). Più interessanti sono le cifre fornite dagli analisti che, in alcune delle ricerche già citate, parlavano di un terzo degli utenti disposti a visionare anche gli spot nelle trasmissioni registrate (per l’indagine di Forrester si trattava del 75%).
Alcuni operatori PVR, per fornire una possibile soluzione alla questione senza pregiudicare gli interessi degli inserzionisti né degli editori televisivi, hanno guardato nell’unica direzione apparentemente plausibile: studiare nuove forme di inserimento della pubblicità nella trasmissione, che arrivassero in maniera efficace allo spettatore nonostante il "fast forward". Il sunto dell’EBU sopra citato mostrava chiaramente come l’avvento del PVR non faceva che mettere in luce un problema preesistente, ma più arduo da percepire, relativo alla reale sensibilità del pubblico alla trasmissione di pubblicità; e come una revisione del modello di spot, ormai obsoleto a prescindere dal videoregistratore digitale, fosse possibile e opportuna – tra l’altro, aprendo con fiducia all’interattività – anche per le aziende radiotelevisive pubbliche europee.
Chissà se saranno stati buoni consigli o solo parole al vento: oggi, sul fronte del PVR, tutto tace.