Era da un po’ che gli annunci sull’imminente e ineluttabile morte della TV non risuonavano apertamente. Ma proprio quando cominciavamo a sentirne la mancanza, Reed Hastings di Netflix ha pensato bene di provvedere: e così, la scorsa settimana, nel corso di un evento organizzato dalla società di video streaming in Messico, ha proclamato la scomparsa della televisione broadcast al massimo entro il 2030. C’è da comprenderlo: i numeri gli danno apparentemente ragione, e non solo quelli – sempre più altisonanti – provenienti dalla sua azienda (prossima a raggiungere i 6 milioni di abbonati nella sola Europa). Ad esempio, guardando alla consumer electronics, le previsioni di Parks Associates circa le prossime vendite natalizie dei dispositivi per lo streaming TV, tra i regali preferiti nel 2014, fanno sperare in una diffusione sempre più larga della visione online tramite il piccolo schermo. Ancora, secondo una ricerca di Ooyala e Vindicia condotta in collaborazione con MTM, un futuro roseo attende il mercato europeo del video OTT premium, che in UK è previsto in crescita da 130 milioni di sterline del 2013 ai 390 del 2017, e in Germania dai 35 milioni di euro del 2013 ai 117 del 2017.
La fine della TV come l’abbiamo conosciuta sembrerebbe sempre più vicina. Eppure, tutto dipende dagli indicatori che si scelgono. Stando ai numero sugli ascolti che provengono da due paesi-guida come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, la live TV gode ancora di ottima salute, e continua a staccare di misura il cosiddetto video over-the-top tanto nei dati di una piattaforma come iPlayer quanto in quelli Nielsen. Nel primo caso, la fruizione online rappresenta il 2,43% di quella tradizionale: vale a dire, mentre nel momento di picco gli spettatori davanti alla TV broadcast sono 26,1 milioni, il numero massimo di utenti collegati a iPlayer non supera i 634mila. Negli USA, il tempo dedicato alla visione online rappresenta solo il 7% di quella del piccolo schermo. Meno persone, meno dedite: a meno che non si smetta di comparare i due fenomeni in nome della convergenza, accostandoli come concorrenti, e non si cominci a guardarli come due forme parallele dello stesso intrattenimento, destinate a non incontrarsi (quasi) mai.