Se andando in giro, per strada, si pone a chiunque si incontri la domanda di rito: “come va?”, si ottiene anzitutto una risposta desolante: “uno schifo” – e giù con i guai personali, professionali, economici, di salute. Se però subito dopo la prima domanda se ne ponesse un’altra, molto semplice: “e il resto?”, la seconda risposta invariabilmente sarebbe: “no, il resto va bene”. E’ il resto che ci salva, ha concluso Giuseppe De Rita, chiudendo con questo exemplum la presentazione del 49° rapporto Censis – forse l’ultima nella sede CNEL di villa Borghese, con l’ente in via di abolizione.
Resto significa macerie, rimasugli di un paese incatenato allo “zero virgola”, di una società “a bassa autopropulsione”, di un’economia prostrata da una lunga crisi, solo ora interrotta da una piccola rimonta congiunturale; ma resto significa anche avanzi, porzioni di valore, di settori, di competenze (gastroalimentare e tecnologia, tra tutti), magari trascurati fino a poco fa, e adesso tornati al centro di iniziative positive grazie all’ibridazione e all’inventiva che risultano infine vincenti. Il resto sono gli stranieri, meglio integrati in Italia che in altri paesi europei, perché proiettati verso una cetomedizzazione che in Francia o in Gran Bretagna è stata loro negata; il resto sono le località turistiche marittime e montane, tradizionalmente trascurate a favore delle città d’arte, che oggi sembrano aver invece superato in attrattività; il resto è la ricettività extralberghiera che cresce mentre quella tradizionale lamenta un declino apparentemente inarrestabile; il resto sono i bar, i take away, le pizzerie, le gelaterie e pasticcerie che nelle nostre strade sostituiscono ormai ferramenta, librerie, abbigliamento, cambiando il panorama urbano.
La nostra saggezza popolare ha sempre fatto conto sul resto, senza mai raccontarselo più di tanto. E dunque ha torto Derrida, per De Rita: proprio dal resto possiamo ripartire. Nelle parole del decano del Censis si avvertiva con forza l’intenzione di consegnare all’uditorio un lascito intellettuale, dopo sessant’anni di attività professionale appena festeggiati. Un messaggio coerente con gli slogan scelti dal Censis nei rapporti degli ultimi anni per condensare le sue diagnosi sulla società italiana – la mucillagine, lo scheletro contadino, la società molecolare – e nonostante tutto positivo, malgrado l’Italia non smetta di corrispondere alla definizione turatiana di “limbo italico”, richiamata da De Rita: fatto di “mezze tinte, mezze classi, mezze idee e mezze persone”. Ma l’energia che ci serve per uscire da questo limbo non è scomparsa, è semplicemente nascosta, sceglie vie sotterranee, percorsi carsici, e alla fine riemerge. Le caratteristiche storiche del nostro paese – il sommerso, il localismo, l’artigianalità, la dimensione pauperista – operano ancora e in qualche caso generano soluzioni per consolidarci – una tra tutte, la sobrietà nei consumi. In sessant’anni di lavoro, ha detto De Rita infine, non ho mai avuto rancore, mai avuto “il lutto di ciò che non è stato”. Vale anche per l’Italia, per gli italiani.