Il libro di Alberto Contri è una dichiarazione d’amore. Una dichiarazione sensibilmente preoccupata, piena di premura e sollecitudine, rivolta all’intero mondo della comunicazione, in tutte le sue sfaccettature. Innamorato com’è di questo mondo, Contri non può fare a meno di nutrire preoccupazione, a vederlo così impreparato di fronte all’evoluzione dei media e al cambio radicale di paradigma che ne consegue; da qui i consigli premurosi e solleciti che dispensa per riportarlo sulla retta via di una visione olistica, di un pensiero critico, di una rinnovata attenzione all’insight – l’idea cardine che alimenta tutta la strategia comunicativa, che sia online o offline.
Sarebbe riduttivo definirlo un libro su Internet: Contri propone, da testimone privilegiato, una cavalcata attraverso la pubblicità, la psicologia, la filosofia, la politica, il marketing, per ricostruire la storia che ha portato la comunicazione di massa a diventare comunicazione “massiva”, secondo la definizione di Ira Carlin – diretta a nicchie, cluster ristretti di popolazione che si incaricano poi di amplificare e ridistribuire il messaggio. Non più “one-to-many”, ma “many-to-many”: la logica del broadcasting viene superata da quella dell’interattività, che implica la possibilità della personalizzazione, ma anche della famosa disintermediazione. Di conseguenza, non più “medium”, ma “people is the message”.
Dunque McLuhan non abita più qui – come recita il titolo del saggio -? In realtà, gli strumenti che Contri suggerisce di utilizzare per comprendere e affrontare il cambiamento sono debitori di McLuhan, accanto ad altri teorici e massmediologi; perché l’autore sa che siamo nani sulle spalle di giganti, e non possiamo che ripartire dalle basi che essi hanno gettato. Il quadro che ne emerge è quello di un’epoca di “costante attenzione parziale”, complessa e frenetica, nella quale tentiamo di fronteggiare le tante sollecitazioni contemporanee, provenienti in buona parte dai tanti dispositivi che maneggiamo ogni giorno, e di farlo più rapidamente possibile – a discapito della qualità, dell’energia, della dedizione all’oggetto del nostro pensiero. Il quale pensiero, a sua volta, è sempre meno consistente, sempre meno trattenuto dalla nostra memoria, perché sempre più delegato a supporti esterni. E se sono serviti millenni per arrivare a consolidare le facoltà della mente umana come le conosciamo, è altamente improbabile che un presunto salto evolutivo abbia già messo oggi le nuove generazioni in condizione di adattarsi al cambiamento. Memoria e attenzione, le basi dell’identità, sono profondamente in discussione.
“Questa mutazione antropologica”, afferma Contri, “ha importanti riflessi sul fronte della comunicazione: un conto è rivolgersi a qualcuno che sta seguendo un solo medium, un conto è catturare l’attenzione di qualcuno che ne sta seguendo diversi contemporanemente”. Ma come ha reagito il mondo della pubblicità a questa trasformazione? Male, purtroppo: non solo perché poco preparato dal punto di vista delle competenze necessarie, ma anche perché reduce a sua volta da una lunga battaglia, che ne ha spuntato le armi. La nascita dei centri media, che hanno avocato a sé la componente della pianificazione, ha deprivato le agenzie di un valore molto alto – almeno nella percezione dei clienti, generando l’impressione che quel che restava – la creatività, l’idea, il messaggio – contasse meno della capacità di aggiudicarsi spazi e slot pubblicitari. Contri individua nello spostamento del baricentro dalla strategia complessiva alla mera pianificazione degli spazi, e nella conseguente parcellizzazione della catena del valore, il peccato originale che ha minato alla base la forza delle agenzie pubblicitarie. Restìe ad abbandonare le rendite di posizione, e costrette per giunta a confrontarsi con la nuova dirompente logica dell’online – tra disintermediazione, fretta e attenzione scarsamente focalizzata -, le agenzie sono oggi esposte al rischio dell’irrilevanza come mai nella loro vicenda.
Resta il sospetto che una simile evoluzione sia figlia dei tempi, più che di singole discutibili decisioni da parte di individui troppo arrembanti: che alla pubblicità sia toccata la stessa sorte che ha coinvolto più in generale il sapere e il lavoro intellettuale nel Novecento, parcellizzato, tecnicizzato, sempre meno capace di dare conto del reale nella sua interezza. Eppure, è proprio all’aumentare della complessità che aumenta la necessità di pensiero: di un pensiero strutturato, forte e capace di abbracciare complessivamente la realtà. Dal canto suo, Contri propone di tornare alle basi, back-to-basics, sia nel merito che nel metodo. Nel metodo, ritornando a offrire il vecchio “servizio completo” delle agenzie di un tempo – riscoperto da ultimo anche da Mark Pritchard, CMO di Procter&Gamble -, che si incarichi di tutta la campagna, dall’ideazione alla misurazione finale dell’efficacia. Nel merito, tornando ad attribuire un ruolo fondamentale al concept, o insight: l’unico elemento in grado, se forte abbastanza e ben pensato, di attrarre tutta l’attenzione del destinatario, di trattenerla e persino di convincerlo a ridiffondere lo stesso messaggio ad altri, grazie agli strumenti online a sua disposizione. Internet è qui per rimanere: si tratta di non abusarne, come afferma Contri, ma ancora di più – come tutto il libro suggerisce – di pensarlo, sulla scorta dei giganti che ci hanno preceduto, di osare concepirlo, in maniera olistica, strutturata, critica e responsabile. Una ricetta valida per l’intera realtà umana, digitale o analogica, online o offline che sia.
A. Contri, McLuhan non abita più qui. I nuovo scenari della comunicazione nell’era della costante attenzione parziale, Bollati Boringhieri, 2017.