Twitter, Jack Bauer e la selezione narrativa

24sky
    Qualche tempo fa avevo aperto un account su Twitter: più stringato di un blog, più multimediale, interattivo, insomma molto glamour. Affascinata dalla novità, non vedevo l’ora di mettermi a "cinguettare" tutto il tempo. E’ durata due giorni, poi il mio entusiasmo si è arrestato di fronte a una insistente perplessità: parafrasando (indegnamente) un grande scrittore, mi sono chiesta quand’io avessi durata la fatica di scrivere tutto quel che mi passava per la mente, chi mai avrebbe potuto avere interesse a leggerlo. Perché a qualcuno avrebbe dovuto importare di cosa io facessi alle dieci, e poi a mezzogiorno, e poi alle quattro – o anche semplicemente cosa mi passasse per la testa durante tutto il giorno?

    E’  l’eterno problema della narrativa: chiunque si accinga a intraprendere un racconto, deve selezionare dalla vita gli elementi che comporranno la storia. Inevitabilmente, la gran parte degli avvenimenti deve essere tralasciata, per tracciare la linea della narrazione: che questa sia più o meno intricata, è sempre fatta di una minima parte di ciò che accadrebbe nel mondo reale, la più essenziale e appassionante ai fini del telos del racconto. Anche in termini cronologici, l’oggetto della storia è la verosimiglianza, non la verità.

    La necessità della selezione vale per qualsiasi racconto, e non fanno eccezione le narrazioni cinematografiche e televisive. O sì? A pensarci bene, la fiction “24” (quella del mio idolo Jack Bauer) sembra contraddire questo principio: ciascuna delle sue serie racchiude le ventiquattro ore della giornata, seguendo ciò che accade minuto per minuto, secondo per secondo ai protagonisti. Com’è possibile: proporre un’intera giornata, senza scremare nulla, proprio a spettatori come quelli televisivi, invasi dalla quotidianità e più che mai propensi a prestare attenzione solo a ciò che esorbita dal comune? E invece anche in questo caso il principio di selezione è pienamente rispettato: basta distribuire la narrazione su un gruppo di personaggi (pur mantenendo invariato il maggiore peso di uno di essi, il protagonista), e mostrare le azioni degli uni e degli altri in sequenza, alternativamente, ma solo le più interessanti rispetto al racconto. Come nella vita movimentata di un unico, multiforme personaggio la storia si snoda così nel dettaglio, riuscendo comunque nell’intento di escludere gli elementi che non sono funzionali. Potrebbe essere un’idea anche per il mio account su Twitter: invece che un unico cinguettio, farne una polifonia di gorgheggi, che si passano la voce l’un l’altro in una sorte di concerto narrativo. Ne varrà la pena?

  • CosmicVoidAroundMe |

    Cara Paoletta, mi fa veramente piacere (e lo dico con sincerità) che tu passi ogni tanto a leggere il mio bloggherello. Vorrei che ogni volta che passi fosse un incontro, magari fuggevole, di persona, invece che tra le vetrine nelle vie di Internet. Vorrei che fosse, magari, un caffè al bar prima di andare a lavorare oppure un rapido cenno con la mano incrociandoci quando si esce di casa o ancora due chiacchiere sul tram che stride e sferraglia nell’umidità opaca del mattino.
    Tutto ciò perchè io ho sempre pensato che non abbia senso intrattenere rapporti che siano limitati a un’interfaccia informatica. O una persona ti è simpatica e la stimi (e allora ti fa piacere pure prenderci un caffè assieme) oppure non ti piace e allora tanto vale farla finita pure con le frequentazioni telematiche.
    Purtroppo nel nostro caso succede che io viva nella capitale effettiva d’Italia e tu nella “capitale morale” (se non sbaglio). Dunque niente caffè e niente chiccchiere sul tram. Soltanto un breve saluto notturno con l’invito a non poltrire troppo e a pubblicare un nuovo post in modo che io possa leggerlo.
    Un bacione,
    Giorgio.

  • CosmicVoidAroundMe |

    Gentile fanciullina,
    ho dato un’occhiata a twitter e sono giunto esattamente alle conclusioni che tu esponevi nel tuo post: a me, in fondo, ma che diavolo me ne importa di quello che il macellaio di mia cugina fa durante tutta la giornata?
    Questa versione computerizzata e ampliata del Grande Fratello, in cui ognuno apre la sua vita e i suoi pensieri a tutti gli altri mi sa tanto di recupero della nostra dimensione di branco. Ossia dell’attrazione per una vita di relazione costruita in modo che, come capita agli scimpanzè e ai gorilla, la dimensione comunitaria finisca per essere presente anche tra le fibre più sottili dei nostri giorni.
    Non fa per me. Se e quando ho del tempo libero, preferisco leggere o ascoltare musica o andare a passeggiare tra i faggi e gli ornielli.
    Un bacione,
    Giorgio

  • Paola Liberace |

    Zauberei: condivido in pieno quel che dici, e in realtà Joyce selezionò a sua volta, pur pretendendo di non farlo – per la semplice ragione che, come avrebbe detto Shakespeare, ci sono più cose in cielo e in terra di quante possiamo contenerne nelle nostre filosofie.
    Per tutti quelli che non conoscono Twitter (http://twitter.com):
    http://www.liberalmedia.it/liberace.html
    Declino ogni responsabilità su qualsiasi segno di addiction (sì Sandrone, si scrive proprio così ;-)))
    p.

  • Sandrone Dazieri |

    In effetti Jack Bauer è anche il mio idolo. E 24 e’ addictive (si scrivera’ cosi’?).

  • CosmicVoid |

    Nonostante tu non abbia cominciato a occuparti di allevamento dei pellicani, mi trovo di nuovo a passare di qui. In realtà speravo segretamente di trovare qualcosa di insolito come una bella dissertazione sulla fluidodinamica del gelato al pistacchio, ma in mancanza di ciò mi adeguerò al tema del tuo post e ti dirò che, non avendo la più pallida idea di cosa sia twitter mi trovo impossibilitato a scrivere qualsiasi cosa che possa apparire vagamente intelligente. Meglio quindi, forse, che non scriva proprio niente.

    A questo punto, sebbene non mi manchi la capacità di tirarla in lungo ancora per una decina di pagine senza scrivere assolutamente nulla di significativo, presumo sia meglio passare ai saluti.

    Ciao fanciulla e, come dico sempre, possano le gobbe del tuo cammello essere sempre piene.
    Giorgio.

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