La notizia è fresca: Mediaset ha diffidato VCast, sito che dallo scorso giugno offre un servizio di videoregistrazione virtuale su WEB, dall’includere i propri canali tra quelli accessibili ai suoi utenti. La diffida è arrivata il mese scorso, ma è solo a partire dall’altroieri (9 ottobre) che è diventato impossibile registrare i programmi dalle reti del Biscione.
La scelta di Mediaset sarebbe stata motivata dalla necessità di tutelare i diritti relativi alle sue trasmissioni: punto critico sinora, di tutti i tentativi di portare la TV in rete, che sia attraverso un PC o un telefonino. Per cautelarsi, da questo punto di vista, VCast – che fa capo a una società di Moncalieri, la Inrete – richiedeva agli utenti di dichiarare la propria regolarità nel pagamento del canone, ma questo accorgimento difficilmente sarebbe stato sufficiente ad allontanare i problemi: i diritti di trasmissione su Internet e quelli via etere sono diversi e distanti ai fini commerciali, come del resto lo sono persino quelli per la trasmissione via etere in analogico da quelli in digitale. Basta pensare alla selva di accordi e contrattazioni generata dalla vendita dei diritti sportivi per le partite di calcio (diretta, differita, pay, in chiaro, via satellite, via cavo, su Internet tramite connessione ADSL o su IPTV…) per rendersi conto di quanto complicata sia oggi la classificazione.
Poco importa che Faucet, il PVR (Personal Video Recorder) di VCast, non
mostrasse online i programmi in onda ma desse unicamente la possibilità di
programmarne la registrazione: questa viene comunque attraverso un flusso dati in rete, e fruita su PC – anche collegato a un televisore – o via podcasting, il che non equivale, checché ne dicano gli utenti, a guardarla sul videoregistratore di casa. Altrettanto poco, a mio avviso, conta che la registrazione fosse diretta unicamente all’utilizzo personale, essendo la disponibilità alla fonte rivolta alla massa degli spettatori (mentre la fruizione è sempre personale, anche sul televisore domestico).
E’ questo il nodo, e non – come si insiste a sostenere – l’eventuale concorrenza con Rivideo, il servizio che consente di scaricare direttamente dal sito Mediaset i contenuti televisivi (per lo più, fiction a puntate): il quale, a voler vedere, sarebbe più insidiato dalla vendita dei tradizionali cofanetti DVD che dalla fruizione personalizzata delle trasmissioni, che non è mai stato il suo obiettivo. Ma anche qualora si trattasse solo del vile denaro, tuttavia, non ci sarebbe da scandalizzarsi. Ai fini dei diritti, VCast crea a Mediaset la stessa difficoltà che
YouTube creava a RAI: risolta, in questo caso, con un accordo
commerciale di cui abbiamo già parlato, in maniera del tutto lineare e senza che nessuno parlasse di mercimonio. Le trasmissioni televisive, che piaccia o no, sono prodotti e chi le vuole deve acquistarle: è questa la semplice morale della favola, in un contesto come quello dell’odierno sistema mediatico.
Troppo facile gridare al liberticidio e prendersela, una volta di più, con l’azienda del Biscione (o con il suo proprietario): se qualcosa si deve biasimare, è l’intricato sistema dei diritti televisivi, che consente di considerare lo stesso identico contenuto due (o tre, o quattro) merci diverse, a seconda del canale che lo trasporta. Certo, indignarsi è più popolare (o populista?) che riconoscere la facoltà di un’azienda televisiva di perseguire il suo scopo (che è sempre il fatturato, così come lo è di portali come YouTube o di aziende come Inrete). Ma tutta questa indignazione servirà unicamente a placare la fame di circenses, non a risolvere il problema.