A Cristina, oltre a un sacco di altre cose, devo di recente una preziosa esortazione. Scrivi un libro, mi fa: resuscitando un fantasma che si agita nella mia testa da tempo immemorabile. Un libro sui mass media, what else? (come direbbe il bel George trangugiando il suo caffè in cialde). E così, dopo mesi in cui mi ero ripromessa di incominciare, ho deciso di farlo; ma vorrei partire da qui, condividendo il progetto che ho in mente sin dal suo nascere.
Il libro che vorrei scrivere riguarda la definizione di mass media. Ben arrivata! mi dirà qualcuno dei miei venticinque lettori, non senza ragione. In effetti, detta così, può assomigliare ai "brevi cenni sull’universo" contro cui mi metteva in guardia il mio professore di filosofia del linguaggio. In realtà, il mio obiettivo è un po’ meno totalizzante – e insieme un po’ più ambizioso – di una definizione perentoria.
Il punto è che continuiamo a parlare di mezzi di comunicazione di massa, quando ormai nessuno di quelli che eravamo abituati a chiamare così è più uguale a se stesso (un po’ come parlare di guelfi e ghibellini nell’epoca di Berlusconi e Veltroni). Per dirla in termini che piacerebbero forse a Telmo Pievani, siamo al crocevia tra la sussistenza di vecchie specie e la comparsa di nuove, nate disordinatamente dalle prime e già avviate a una naturale selezione. La televisione, tanto per partire da un ambito a me caro, è ormai una, nessuna e centomila. Terrestre, satellitare, analogica, digitale, pay TV, video on demand, pay per view, web TV, mobile TV, e si potrebbe ancora continuare: ognuna con caratteristiche (modelli di fruizione e di business, devices, reti di trasmissione, ma anche contenuti) proprie, da non confondere con le altre. So poco di cinema, ma abbastanza per conoscere lo sfaldamento del prodotto cinematografico nelle diverse fasi della distribuzione, come in una sorta di decadimento radioattivo: dalla sala alla pay TV, all’home video, alla televisione generalista gratuita. Anche qui, i modelli di fruizione e di business cambiano radicalmente, i veicoli di trasmissione sono diversissimi, e il contenuto è solo apparentemente il medesimo (si pensi ai DVD). La radio sembrerebbe la meno interessata da una simile frammentazione: eppure, con l’avvento del DAB che sembra ormai prossimo anche in Italia, potremmo non riconoscere il mezzo al quale siamo abituati, il quale del resto si era già trasformato nel suo trasloco dalle abitazioni alle automobili. E Internet? Il regno della varietà assoluta si conferma tale anche nella quantità di sviluppi che già proliferano all’interno dei suoi confini; le varie facce del Web 2.0 sono già avviate a reclamare una propria identità, se non quanto a rete di trasmissione e device, certo per le occasioni d’uso, i modelli di fruizione e di business.
Sono tutti nuovi mezzi di comunicazione le entità che si affollano disordinatamente nel panorama mediatico? Quanti di loro sono ectoplasmi che dureranno lo spazio di una bolla (come quella del Web 1.0), e quanti, invece, sono qui per rimanerci? Come si fa a capire se siamo di fronte a organismi comunicativi compiuti, in grado di camminare con le proprie gambe? O forse un simile organismo è ormai obsoleto, dissolto in una grande Rete che riserva alle identità dei mezzi di comunicazione la stessa sorte del soggetto dei postmoderni (un numero di Nòva, qualche tempo fa, recava in prima pagina un titolo dedicato alla "post-televisione").
Quel che vorrei tentare di fare, insomma – con una buona dose di ingenuità, che è garanzia di entusiasmo – è scrivere un libro sul metodo, più che sul merito. Si tratta di circoscrivere un criterio, il più possibile riconoscibile e comunicabile, per verificare la possibilità che sorgano ancora nuove identità mediali, e riconoscerne eventualmente l’avvento. Per fare questo, vorrei individuare e descrivere alcune direttrici fondamentali da interrogare per sapere se stiamo parlando (sempre in termini darwinistici) di sottospecie o di vere e proprie specie nuove. Alcune di queste direttrici le ho già nominate: la rete, i contenuti, il modello di business, il modello di fruizione, il device. Probabilmente non sono le uniche, forse non sono neppure quelle corrette, ma per adesso mi sembrano un buon inizio.
Se scelgo di confrontarmi sul blog in questa fase iniziale è perché vorrei iniziare con le domande, invece che con le risposte; e le domande sono rivolte a tutti coloro che, passando di qui, vorranno darmi il loro parere e il loro consiglio, tanto sulla mia ipotesi di lavoro, quanto sulle linee guida che ho cercato di tratteggiare, nonché sul metodo per procedere. Quest’ultimo, anzi, è il punto che mi sta più a cuore, sul quale nutro maggiori dubbi e necessito di più consistenti contributi. Grazie, fin da ora, a tutti quelli che vorranno offrirmeli.