(segue dal post precedente) I consumatori del prodotto televisivo sono oggi distribuiti tra una varietà di possibili modelli di fruizione, l’uno diverso dall’altro, ma tutti lontani dall’emblema della passività rappresentato dallo spettatore inchiodato al teleschermo. Dalla televisione generalista popolata di trasmissioni che richiedono la partecipazione del pubblico; alla pay-TV, sia satellitare, terrestre o IPTV, attraverso cui costruire un palinsesto personale con le formule del Pay-per-view, del video on demand e del Personal Video Recorder; alle web TV in cui gli spettatori sono contemporaneamente autori dei contenuti diffusi attraverso la Rete; alla mobile TV costruita sulla misura di una disponibilità di spazio, tempo e attenzione estremamente limitata. Chi guarda la TV oggi tutto fa, fuorché accomodarsi in poltrona; e quando questo accade, è la televisione stessa ad avere la peggio, ridotta a sottofondo di una conversazione domestica che la relega in secondo piano.
Il progetto di un’associazione di consumatori che "difenda" questi ultimi dalle angherie della televisione rischia di produrre una situazione simile a quella che riguarda oggi i sindacati deputati alla tutela dei lavoratori: il cui operato finisce spesso di proteggere sempre meglio i diritti di chi è già al sicuro, e tralasciare quelli dei tanti che, per via delle formule atipiche dei contratti, o dell’inquadramento intermedio tanto rispetto alla manodopera operaia che alla dirigenza, restano allo scoperto. La comprensione dell’effettiva condizione in cui il mercato si trova, e delle tendenze secondo cui si evolve, è in questo caso – come in quello dell’associazione consumatori TV – il presupposto per non imbastire una difesa puramente nominale di stati di cose che, all’evidenza dei fatti, risultano ormai minoritari (se non per numero, per reale necessità di intervento), trascurando invece esigenze e desiderata forse meno remunerativi dal punto di vista ideologico, ma non per questo meno reali.