Ci risiamo. Ogni tanto, qualcuno dei nuovi media salta su e si autoproclama erede della televisione generalista via etere: quando non addirittura concorrente o sostituto. O almeno, questa è l’eco che rimbalza nell’opinione pubblica a partire da progetti e operazioni innovative (do you remember mobile TV?), magari nate con tutt’altro spirito o obiettivo, ma che per "sfondare" ed essere proposte al grande pubblico hanno evidentemente bisogno di evocare un polo di attrazione fatale per le masse come la TV. E pure, a sentire il chiacchiericcio che si scatena, resta il dubbio se si tratti solamente di una simile strategia giornalistica, o se non siano gli stessi promotori dell’iniziativa a cercare e stuzzicare l’accostamento al piccolo schermo, pur di "fare notizia".
Stavolta è il turno di YouTube, del quale si è già largamente parlato in questo blog. A quanto pare da un articolo di Repubblica di Affari e Finanza, i tre creatori della società hanno in mente di affiancare al tradizionale modello di distribuzione dei contenuti video digitali basato sulla condivisione, che ha fatto la fortuna del portale, un modello più simile a quello del broadcasting, con la diffusione di "trasmissioni" in diretta, attraverso il WEB ma senza disdegnare le altre piattaforme. E fin qui nulla di strano, se a qualcuno non venisse in mente di evocare lo spettro televisivo. Per quanto inevitabile sembri che il pensiero corra alla televisione generalista, sarebbe bene frenarlo, e considerare con attenzione i dettagli delle dichiarazioni di Hurley, Chen e Karim.
Anzitutto, non cambierebbe il formato dei contenuti che già oggi circolano in YouTube, caratterizzati anzitutto dalla durata limitata. I tre affermano difatti a chiare lettere che intendono distribuire video brevi, che nulla hanno a che vedere con le tradizionali trasmissioni-contenitore, sempre più caratterizzanti il flusso di contenuti di quel particolare medium che è la televisione generalista in chiaro. In secondo luogo, il tubo catodico (a dire il vero ormai sostituito dallo schermo al plasma o LCD) non sarebbe che una delle finestre di visibilità dei contenuti stessi: accanto ad altre, in parte già disponibili, come iPod, cellulari e PC. Ma il principale motivo di perplessità di fronte all’accostamento con la TV generalista sta nel modello di business. Anche per YouTube in broadcasting sarebbe basato sulla pubblicità: ma si tratterebbe di una pubblicità integrata in video, probabilmente interattiva (dal momento che i tre spiegano a Repubblica che "se la pubblicità è entertaining, gli utenti cliccano volentieri").
Cetro, resta la rete, almeno questa in comune con la televisione. L’obiettivo di Google, che possiede YouTube, è infatti quello di colonizzare le frequenze analogiche lasciate libere dalla transizione televisiva al digitale per lanciare una sorta di Wi-Fi 2.0. Ancora una volta, però, si tratta di navigare – e per giunta ad altissima velocità, con capacità di trasporto dati finora sconosciute -; non certo di guardare la TV, la quale – per quanto YouTube si sforzi – da queste parti non si vede neppure in lontananza.