Ogni tanto mi accade di imbattermi in uno dei libri che avrei voluto scrivere. Oggi è la volta di "Oltre la televisione – dal DVB-H al WEB 2.0", scritto da Giuseppe Riva, Massimo Pettitti e Eleonora Uggè, e pubblicato dalle Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto (integralmente disponibile per la consultazione a questo indirizzo).
La tesi del volume è interessante e attuale: secondo gli autori – uno psicologo, un ingegnere e un’esperta di comunicazioni, dunque tre prospettive piuttosto varie – siamo passati "da una televisione incentrata sul televisore a una fuori di esso". Questo significherebbe che siamo giunti a una completa separazione tra tecnologia e contenuto, che da un lato ha trasformato la TV da "mass media" a "personal media" (come da queste parti si sosteneva già qualche anno fa), e lo spettatore in "spettAutore". Ne conseguono altre evoluzioni tutt’altro che trascurabili – e in parte già note, come quella che sta toccando il mondo dell’advertising.
Al bel lavoro di Riva, Pettitti e Uggè aggiungerei solo una domanda che mi piacerebbe porre ai tre, ma che più che altro mi piacerebbe che loro stessi si ponessero, non necessariamente fornendo subito una risposta: siamo certi che questa nuova entità a metà tra mobile TV e social internet si chiami ancora televisione – o che chiamarla così sia giusto, vale a dire ci aiuti davvero a capirla meglio? Per spiegarmi meglio, ricorrerò a una citazione politica: quando Ferdinando Adornato scrisse il suo libro "Oltre la sinistra", Massimo D’Alema osservò al suo indirizzo: "Caro Ferdinando, oltre la sinistra c’è solo la destra". Parafrasandolo, si potrebbe dire: oltre la televisione c’è solo la post-televisione: o se no, che altro?