Che strano. Ogni volta che i dati di ascolto (provenienti dall’Auditel, e quindi necessariamente bisognosi di interpretazioni e pesature; ma pur sempre gli unici su cui ormai da anni si basano le diagnosi su quantità e qualità del pubblico radiotelevisivo, e perciò affidabili almeno in nome della coerenza delle fonti) segnalano l’assenza di quella tendenza sbandierata da più parti, all’inesorabile diminuzione degli spettatori, segno della disaffezione verso la TV per antonomasia (quella generalista in chiaro, insomma) e dell’inarrestabile trend di conversione ai new media, si grida al miracolo.
L’ultimo a farlo è ancora oggi Aldo Grasso, che con il supporto di Massimo Scaglioni analizza sulla consueta rubrica del Corriere della Sera il consumo di televisione dall’inizio dal 2008. Il verdetto dei numeri è decisamente positivo: "tre minuti di consumo medio in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno […] e una "tenuta" su tutte le fasce della programmazione, prime time in particolare […] ". "Il potere attrattivo del piccolo schermo non è scalfito", conclude Grasso: ciò che pochi ormai mettono ancora in dubbio.
Ma c’è un altro aspetto interessante, che l’articolo di Grasso non riporta: quello che riguarda l’audience registrata, nello stesso periodo, dalla TV satellitare. I dati forniti da Auditel AGB e rielaborati da Starcom, sui canali a rilevazione d’ascolto giornaliera, mostrano una buona tenuta dall’inizio dell’anno (8,9% lo share), con un incremento a Marzo del 20% rispetto al dato dello scorso anno (quando al contrario il trend di share era andato decrescendo).
Oltre al fatto che la TV satellitare è stabile nella fascia di ascolto dei "giovani", quella tra i 15 e i 34 anni, è significativo rilevare che la crescita dello share rispetto al 2007 riguarda tutte le fasce orarie, prime time compreso. Proprio come se il pubblico si fosse moltiplicato, anziché distribuito tra etere e satellite a discapito del primo o del secondo: come ancora qualche mese fa sembrava assodato. Ulteriore prova, se fosse stato necessari, che non necessariamente i nuovi media ricavano il loro successo sulle ceneri dei vecchi.
Una simile evidenza deve far riflettere inoltre sul tipo di campo, quello del consumo di intrattenimento multimediale, in cui la TV miete le sue messi: il quale, più che a un bacino di raccolta a somma zero, nel quale cui ognuno degli attori si aggiudica una porzione rigidamente distinta dalle altre, somiglia a un agglomerato di insiemi – quelli delle varie audience -, con ampie aree di sovrapposizione gli uni con gli altri, e in cui la crescita dell’uno non pregiudica, anzi stimola, quella degli altri. Più televisione, insomma, porta più televisione, che sia via etere, satellite o digitale: non necessariamente a discapito di qualcuno, ma anzi a guadagno di molti.