Parlando dell'obbligo di neutralità tecnologica derivante dalla missione di servizio pubblico della RAI, il sottosegretario Romani ha dichiarato che la TV di Stato è tenuta a essere presente su "ogni" piattaforma, ma non su "tutte". Una differenza sottile, quasi impalpabile, che diventa enorme, se si tiene conto che sta per riaprirsi la trattativa con SKY, nella quale si giocheranno le sorti dei canali pubblici sulla piattaforma satellitare di Murdoch. L'esito è affatto scontato, se si considerano le tensioni emerse, ad esempio, nel caso del "furto" perpetrato dallo Squalo ai danni di viale Mazzini, che ha dovuto rinunciare a uno showman di punta come Fiorello (a proposito: ma dove sono finiti i detrattori di questa impopolare scelta, dopo i primi commenti sull'audience ridotta totalizzata sul satellite? forse che Fiorello non ci manca poi così tanto?
La differenza tra "ogni" e tutte" si fa però abissale se si considerano le voci che già da tempo danno la RAI, in quanto parte del consorzio TiVu, promotrice di una piattaforma satellitare autonoma; nominalmente destinata a raggiungere le zone impossibilitate a ricevere il segnale digitale terrestre, ma se necessario – e conveniente – pronta ad assumere un ruolo più ampio, fino a rendere superflua l'ospitalità finora goduta presso SKY. O no? Forse non è vero che un satellite vale l'altro, che una piattaforma vale l'altra; forse il valore aggiunto garantito ai canali di RaiSat non dipendeva dal mezzo di trasmissione, ma dal brand ad esso associato, ma dalle scelte editoriali, ma dall'associazione tra le esigenze degli abbonati SKY e quelle degli abbonati RAI – che non è detto siano le stesse degli utenti di TiVu. Domande che varrebbe almeno la pena di porsi, se non si vuol dare l'impressione di considerare il servizio pubblico un mero obbligo di copertura, e non anche una questione specialmente, prevalentemente, editoriale.