Noi siamo piccoli, ma cresceremo. Che si tratti di squadre di calcio o di network televisivi, il motto non cambia: se si fa torto, vero o presunto, ai più piccoli, la nemesi istituzionale arriva immancabile. Sì, perché, se stavolta è l'Antitrust a intervenire, tempo addietro era stato lo stesso governo a muoversi. In pochi hanno infatti voluto ricordare che l'assetto della vendita dei diritti TV del calcio – ora all'attenzione dell'autorità di regolazione della concorrenza che ha aperto un'istruttoria per abuso di posizione dominante contro la Lega Calcio – era stato determinato da un decreto ministreriale, risalente all'allora ministro dello Sport Melandri, che doveva in qualche modo sanare le iniquità patite dai club "minori" a vantaggio di quelli più blasonati, favoriti nelle trattative con le pay TV.
Piccole salvate, piccole condannate: accontentate le squadre di calcio, ora a ribellarsi sono le TV, che denunciano la disparità di trattamento rispetto ai grandi gruppi satellitari o terrestri. I pacchetti commerciali, come sono stati congegnati dalla Lega, sarebbero stati ritagliati su misura delle esigenze (e del portafogli) di Sky, Mediaset e Dahlia (ex Cartapiù). In effetti, comprendono, è vero, più squadre, in modo che non sia possibile per le televisioni negoziare unicamente con le "big" di loro interesse, ma proprio questo impedisce – in mancanza della facoltà di intrattenere comunque trattative separate – che possano accostarsi al banchetto anche le TV minori. Come Conto TV (ex Superpippa channel), che ha montato la protesta.
E se la protesta di Conto TV venisse accolta, in nome dell'indignazione sempre viva nel nostro paese per i monopoli televisivi (anche quando sono diventati duopoli, o peggio triopoli)? Non sempre l'intervento regolatorio ha sortito benefici determinanti per il mercato, come insegna il caso di SKY, frenata sulla propria piattaforma per essere, in seguito, sfidata sul suo stesso terreno da altre piattaforme. E se l'intento dichiarato fosse quello di riequilibrare sempre e comunque le disparità determinate dalla dimensione dei contendenti (principio discutibile, almeno in campo televisivo, dato il precedente rappresentato da Europa 7), significherebbe ancora poco, visto che si porrebbe l'imbarazzante questione di scegliere tra due piccolezze: quella dei club o quella dei network?