A leggere l'interessante ritratto che Andrea Materia traccia di blip.tv, sembra emergere un quadro che scardina non solo l'attuale panorama mediatico, ma i criteri stessi di identificazione di un media. O per meglio dire, di un network televisivo: perché di questo, in soldoni, si tratta, malgrado la vastità di piattaforme su cui i contenuti sono disponibili e la programmazione non-lineare, che sembrerebbero allontanarlo dal tradizionale significato del concetto.
Si può ancora parlare di televisione, quando il device di erogazione è prevalentemente lo schermo di un PC o di un iPhone? Si può ancora parlare di televisione, quando i programmi sono per lo più forniti on demand e fuori dalla sequenza più comunemente nota come palinsesto? Si può ancora parlare di televisione, quando i contenuti sono frutto di produzioni indipendenti, provenienti da chiunque osi proporle, sfidando il comune senso del copyright e lontano dai modi e toni più cari alla TV generalista?
La risposta dovrebbe essere negativa, se per televisione intendessimo ancora un mezzo di comunicazione di massa: massa che in questo caso resta fuori dagli intenti e dagli esiti del progetto, vicino per sua natura alle nicchie tanto per quel che riguarda le modalità di fruizione che il lato editoriale. Realtà come Blip.tv acuiscono il dubbio che questa massa sia ancora indispensabile per definire la TV: ma anche il dubbio che sia ancora indispensabile usare il termine stesso di televisione, per definire qualcosa che ha certamente più a che fare con una cultura del network ormai francamente transmediale.