Il ritratto che dello stato dei media e della comunicazione nel nostro paese emerge dai due grandi rapporti pubblicati nell'ultima settimana è lo stesso. Tanto il Censis, che ha rilasciato il suo ottavo rapporto intitolato "I media tra crisi e metamorfosi", quanto l'Istat, che ha presentato l'Annuario statistico 2009, insistono sulla diminuzione del digital divide: evidenziando l'aumento della diffusione di Internet (o quanto meno, del numero di connessioni alla Rete, non necessariamente a banda larga) e dell'utilizzo del computer. Se il Censis evidenzia la crescita dell'impiego del web dal 45,3% di due anni fa al 47% di oggi, l'Istat parla di un 47,5% della popolazione superiore a 3 anni che utilizza il PC o la Rete, rispetto al 44,9 dell'anno scorso.
Allo stesso tempo, i rapporti mettono in risalto l'impatto della crisi sugli altri mezzi di comunicazione, facendo rilevare come sia stata penalizzata la stampa cartacea (l'Istat registra la diminuzione dell'abitudine di lettura dei quotidiani, mentre il Censis ha sfoderato per l'occasione l'espressione press divide per descrivere l'aumento dei cittadini che non hanno contatti con i mezzi stampa, dal 33,9% del 2006 al 39,3 del 2009). L'impressione che si ricava accostando dati simili alla crescita dei media digitali è quella di una accelerazione impressa all'evoluzione mediatica, nel senso della sostituzione (sempre annunciata, mai ancora avvenuta) dei mezzi di comunicazione "tradizionali" con quelli innovativi. In realtà, a lamentare una battuta d'arresto non sono solo libri e quotidiani, ma in generale i servizi a pagamento percepiti come accessori non indispensabili – primi tra tutti, i servizi VAS mobili; e, nell'ambito dei contenuti digitali, gli stessi quotidiani online perdono lettori, verosimilmente – riflette il Censis – sottratti dai portali generalisti e dagli aggregatori di notizie, come la Google che non a caso ha fatto infuriare Murdoch.
Non è il nuovo che soppianta finalmente l'antico, insomma; e lo si capisce, ad esempio, dal prospetto Censis dell'evoluzione media negli ultimi dieci anni, che conferma al contrario come tanto più il nuovo avanza, tanto più l'antico si specializza e ci guadagna (tutti i mezzi di comunicazione crescono dal 2001 al 2009, e ad esempio i libri più della TV). Non è il nuovo a vincere, insomma, ma il semplice e il gratuito: effetto della crisi, che ha spinto a rivedere le diete mediatiche sulla base dell'accessibilità e dell'insostituibilità. A questa regola generale sembra tuttavia sottrarsi la televisione, nelle sue ormai svariatissime forme: che crescono tutte (a parte l'isolato dato negativo registrato dal Censis per quanto riguarda la IPTV), anche quelle che prevedono modelli pay. Segnale di un rapporto invariante che scorre, e nemmeno troppo sotterraneo, tra il "prima" e il "dopo" dell'evoluzione tecnologica, tra il "prima" e il "dopo" degli assetti economici e finanziari, e che in qualche modo, ormai, caratterizza la nostra stessa nazione.