Poi dice che uno si butta in Rete

La contesa tra Jay Leno e Conan O'Brien sul terreno della seconda serata della NBC – spinta ormai a un tale punto da somigliare a una versione riveduta e mediaticamente corretta della zuffa tra i polli di Renzo -  ha offerto l'occasione ad alcuni commentatori (in particolare online) per sottolineare l'obsolescenza del modello della TV generalista in diretta – e di conseguenza, delle dispute per aggiudicarsi l'orario migliore per la propria trasmissione.

Il corrosivo scambio di battute tra i due showman – l'uno suo malgrado ricacciato in seconda serata dagli ascolti deludenti fatti registrare in primetime, l'altro recalcitrante a scansarsi fino a mezzanotte per fare posto al collega più "esperto" (per non parlare del carico da novanta aggiunto da un inacidito Letterman, a suo tempo rimpiazzato dalla NBC con Leno) -, avrebbe potuto essere evitato, dice Nick Bilton, se solo ci si fosse presi la briga di verificare quando e come i telespettatori seguono i due appuntamenti: e cioè, non più in diretta televisiva, ma in "differita", tramite PC. Come dire: se i giovani sostenitori di O'Brien contro Leno, che hanno costituito gruppi nei social network per testimoniare il loro attaccamento allo showman, avessero davvero voluto salvarlo, avrebbero dovuto convincerlo a migrare su Internet, con tutto il suo show, il suo staff e la sua audience, lasciandosi alle spalle una volta per tutte le preoccupazioni relative all'orario di messa in onda.

Ancora più netto David Carr, che riconduce alle abitudini degli stessi spettatori – sempre più lontani dalla tradizionale fruizione televisiva lineare – la ragione ultima della contesa. Il calo di audience che ha dato origine alla necessità di rivedere il palinsesto della NBC non va letto insomma come il frutto della preferenza per lo show di Letterman, per un altro tipo di trasmissione, o per un'altra emittente: ma come la naturale conseguenza della disponibilità, per quella stessa audience, di numerose altre fonti, ovviamente online, cui attingere per conoscere prima e per discutere anche meglio le stesse notizie e gli stessi gossip che una volta erano appannaggio esclusivo di spettacoli come quelli di Leno, di Letterman o di O'Brien. Quando arrivano al piccolo schermo, i commenti sull'attualità newyorchese e sugli stravizi dei VIP, per gli spettatori connessi, sommersi di aggiornamenti in tempo reale attraverso feeds, twits, post e altre amenità digitali (ad esempio, quelli di Gawker), sono già vecchi.

Davvero lo sono? Davvero per battutisti come O'Brien (magari non Leno o Letterman, che appartengono a un'altra generazione) l'unica soluzione è buttarsi in Rete? Davvero il valore aggiunto, autoriale, editoriale, delle loro argute riflessioni può essere ormai tirato fuori solo dal Web? Davvero ormai in televisione ha senso guardare solo lo sport, e qualche telefilm (che dire allora del fecondo filone dei format, reality ma non solo, che non solo non hanno intenzione di traslocare – pur gettando solide basi in Rete – ma si stabiliscono sempre più numerosi, con tutte le loro varianti, nell'etere, anche provenendo da altrove)? Davvero tutto l'affaire Leno è segno di un declino – o non piuttosto di una trasformazione, di una migrazione, tanto fuori che dentro la TV, della quale tendiamo a cogliere tuttavia solo la prima parte?