Dopo soli 5 anni dalla sua nascita, questo potrebbe essere per YouTube l'anno del pareggio di bilancio. L'ha ammesso stamattina al Cable Congress 2010 Patrick Walker, responsabile delle partnership, che parlando di fronte a una nutrita platea ha spiegato come l'aspetto più stupefacente della cosa stia proprio nelle tempistiche: a partire dall'affermazione della radio, che richiese 37 anni, e della TV – almeno 15 -, i tempi si sono progressivamente e costantemente ridotti.
Tuttavia, non è questo l'aspetto della questione che mi sembra più interessante. Data l'accelerazione complessiva impressa al mondo della comunicazione, stretto tra lo sviluppo tecnologico da un lato, e le dinamiche socioculturali dall'altro, il fatto che i tempi per la nascita, crescita e stabilizzazione di un nuovo media siano sempre più brevi non mi sembra così rilevante. Molto più significative secondo me sono invece le modalità di questa affermazione: che passano sempre di più per strade "light" e sempre meno per vie "heavy". Mi spiego meglio.
Le infrastrutture di base del mondo dei media sono ormai definite: il mondo dell'"hardware", per capirci, si evolve in continuazione, certamente, ma sempre più come complesso di varianti sullo sfondo di un terreno ormai consolidato. E in ogni caso, non è più questa evoluzione a decidere l'emergenza di un nuovo media: che si verifica invece grazie alla convergenza di nuove configurazioni software, di buone tecniche di marketing, e di una inarrestabile verve demiurgica fatta propria da quella che era un tempo considerata (erroneamente) la semplice – e passiva – platea degli spettatori.
Se Youtube è diventato Youtube, insomma, non si deve alla comparsa di un nuovo stratosferico modello di monitor al plasma o 3D, né a quella di un nuovo decoder o di una TV connessa – tutti attrezzi utili, ma di per sé insufficienti a "fare" il media. Insomma: se la TV è la TV, si deve in primis al tubo catodico, e forse solo in seconda battuta ai vari "The Wheel of Fortune" e Mike Bongiorno. Ma se Youtube è diventato Youtube, invece, lo deve a un'idea: quella. di chi lo ha originariamente programmato su un sostrato di devices già abbondantemente esistenti e collaudati, prendendo sul serio l'idea del Web come piattaforma (che fosse o meno in origine una semplice boutade). E forse ancora di più lo deve ai suoi utenti, che lo hanno adottato, diffuso e fatto crescere.
Una buona lezione, mi sembra, per tutti i progetti di innovazione, sviluppo tecnologico e crescita che credono di dover necessariamente passare per abiti tanto pesanti quanto ingombranti, quando sempre più spesso non è l'hardware – pardon, l'abito, a fare il monaco – pardon, il media.