Non si è ancora spenta l'eco del successo (più all'estero che dalle nostre parti, a dire il vero) della serie TV-kolossal I Tudors – basata sugli avvenimenti dei primi anni di regno del re Enrico VIII, osannata più dal pubblico che dalla critica, vincitrice di due Emmy, e trasmessa in Italia dalla rete Mediaset Premium Mya e poi da Canale 5 a partire dal 2008 -, che arriva un altro telefilm storico, stavolta incentrato sulle vicende della dinastia spagnola che si impose sulla scena del Cinquecento italiano: i Borgia.
Anche in questo caso, la serie viene portata al pubblico dal canale statunitense Showtime, che aveva già trasmesso la fiction sulla stirpe regnante inglese; niente di più facile che supporre che il mix di sesso, violenza e colpi di scena, con qualche faciloneria storica, che aveva caratterizzato i Tudors venga riproposto anche in questo caso (anche se il protagonista Jeremy Irons giura di no, scommettendo sul rigore del regista Neil Jordan). E fin qui nulla di nuovo: alla vena scandalistica delle fiction di stampo storico saremmo già abituati (chi non ricorda le polemiche e le censure che precedettero la messa in onda, sui canali RAI, della serie TV "Roma"?).
Ma in questo caso c'è qualcos'altro di nuovo: con i Borgias si consolida l'attenzione per l'elemento "familiare" come ingrediente essenziale della narrazione storica. A fare da traino al racconto televisivo sono infatti i vincoli di parentela (ufficiali o ufficiosi), le lotte più o meno sotterranee per l'ascesa al trono (o al soglio papale, come in questo caso) e le conseguenti dispute per la successione, condite dagli intrighi di palazzo. Una combinazione tra due massime sempre valide, quella dei "parenti serpenti" e quella sul potere che logora chi non ce l'ha, che a prescindere da qualche leggerezza filologica aveva già funzionato nel caso dei Tudors. Non serviranno agli spettatori per imparare la storia: ma se è vero che la storia è maestra di vita, di certo la fiction non sarà da meno.