Microsoft impara l’arte e la mette da parte

La mossa di Microsoft, che ha annunciato la prossima chiusura degli XBox Entertainment Studios – il polo di produzione per contenuti video originali sembra in controtendenza rispetto al resto del mondo. Un mondo nel quale in tanti, da Netflix a Amazon, da Yahoo! a AOL, si sono dati o si stanno dando da fare per affiancare al profilo di distributori di intrattenimento – in modalità over-the-top (OTT), vale a dire indifferentemente rispetto alla rete di telecomunicazioni sottostante – quello di produttori, fabbricando in casa propria i contenuti.

A uno sguardo più attento, tuttavia, Microsoft non appare un’eccezione: a fargli buona compagnia ci sono altri due giganti del web, come Apple e Google, attori che hanno concentrato i propri sforzi sull’hardware e sul software, intervenendo per loro tramite anche sui canali distributivi (soprattutto per i video e la musica), ma senza valicare il confine della produzione. Se è vero che l’azienda di Mountain View presidia il versante editoriale almeno attraverso YouTube, i tentativi di spingersi per questo tramite sul terreno delle produzioni originali si sono arenati, per ripiegare ben presto su strategie (come il crowdfunding, o il supporto produttivo offerto ai creatori) più vicine alla missione originaria del network: quella di aggregazione delle produzioni degli utenti.

Si potrebbe pensare che a spiegare le scelte diverse di attori come Netflix o Yahoo! possa essere il loro diverso posizionamento, alieno (almeno al momento) dal coinvolgimento diretto nel mercato dei devices, tanto per quanto concerne la parte hardware che software. Il caso di Amazon, inizialmente un puro marketplace, sembrerebbe smentire questa ipotesi: parallelamente al consolidamento della sua posizione nel campo delle tecnologie abilitanti (proprio quest’anno ha affiancato al suo Kindle anche la Fire TV e il Fire Phone), Amazon ha invaso anche quello dei contenuti originali, arrivando a investire secondo le stime almeno 1 miliardo di dollari annui a partire dal 2013. E’ pur vero che ad Amazon non fa capo un ecosistema applicativo paragonabile a quello di Google o Apple (o persino Microsoft): l’universo delle mobile app resta dominato da un sostanziale duopolio tra i due operatori dominanti, come mostrano anche gli ultimi dati sul Q2 2014.

Insomma, avranno fatto bene Jeff Bezos e Marissa Mayer, o il tempo darà ragione a Satya Nadella? Forse né l’uno né l’altro. Forse, semplicemente, il panorama delle web company non è destinato alla convergenza in un unico, mostruoso conglomerato esteso lungo tutti i segmenti della catena del valore (un po’ come nei video della Casaleggio&Associati): a questo punto ogni azienda – fatti salvi gli opportuni tentativi di imparare l’arte degli altri – si prepara a ritrovare una propria specificità, dedicandosi a ciò che sa fare meglio.