Du’ screen is megl che uan

Niente di meglio che una bella discussione su Twitter, appena al rientro dalle vacanze pasquali e in vista del Festival del Giornalismo per riprendere il ritmo. Nel caso specifico, si parlava di Periscope, del suo flusso video, e della possibilità che si fondesse con un flusso di testo, nutrito dai commenti dei peri-spettatori. Insomma, una social TV rivista e aggiornata, nella quale la costruzione intorno a una trasmissione video personale – invece che broadcast – dovrebbe garantire la piena integrazione con i commenti degli utenti.

Possibilità senz’altro effettiva dal punto di vista tecnico. Ma non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche effettivamente realizzabile, o realizzato. I miei cinque cents di scetticismo nascono dalle osservazioni realizzate sulla social TV per la mia ricerca di dottorato, dalle quali emergeva un quadro singolarmente schizofrenico. Gli spettatori scissi tra due schermi, quello collettivo e quello personale, utilizzavano il secondo per prendere le distanze dal primo – che fosse in prospettiva apertamente critica rispetto alla TV (vista come “stupida”, “superficiale”, “trash”) o per rimarcare la propria specificità individuale rispetto al “mainstream” (e quindi per “proporre qualcosa di proprio”, per affermare il “mood del momento”). Gli utenti apparivano pienamente consapevoli e soddisfatti di questo “doppio setting”, lo definivano non solo un’indispensabile “strategia per la sopravvivenza”, ma anche  “mooolto più divertente”; la distinzione tra lo schermo televisivo e quello del PC o dello smartphone/tablet si sovrappone a quella tra “flusso dall’alto” e “flusso dal basso”. Due schermi, due flussi, due livelli di comunicazione, che non possono mai integrarsi, non perché non esistano gli strumenti – dal red button del DTT fino alle smart TV, ma perché non ci sarebbe più gusto, il gioco non avrebbe più senso.

Varrà anche per Periscope? Non sono certa della risposta, non a questo punto. Ma sono ragionevolmente certa di una cosa: quel che ha senso o no in un gioco mediale dipende dal comportamento degli utenti dalle loro preferenze, dalle loro abitudini, dai loro desideri. Questo dicono le esperienze pregresse: tutte le volte che si scommette sulla next big thing a partire da un approccio tecnocentrico ci si scontra con la dura realtà delle persone, che – come sapeva Fidler – nel mondo reale non sempre vogliono ciò che dicono di volere, o fanno ciò che dicono di voler fare.