Per quanto ormai obsoleta, l’espressione “guardare la TV” è tutt’altro che caduta in disuso: compare ancora al posto d’onore nelle nostre conversazioni, magari riadattata, con la sostituzione del complemento oggetto – laddove la vecchia, cara, dimenticata televisione lascia il posto alle nuove forme video, da Netflix a YouTube, da RaiPlay a SkyQ. Forse però – e proprio per via della metamorfosi radicale che la televisione ha subito, trasformandosi nei mille diversi ibridi tecnologici suoi epigoni – è arrivato il momento di domandarsi se siamo tuttora noi a guardare, o se non sia piuttosto la TV a guardare noi.
Facciamo un passo indietro. E’ dello scorso mese la notizia del lancio, da parte di Netflix, di serie TV con finale “interattivo” – già sperimentate dalla società di video streaming nel campo dell’animazione, il migliore per osare innovazioni a livello di produzione audiovisiva e multimediale. Una notizia solidale con la nostra premessa, la straordinaria trasformazione della TV, passata in pochi anni da essere la “cattiva maestra” che istupidiva le coscienze dei couch potatoes e delle casalinghe disperate, condannati a subirne i messaggi senza poter disporre di uno strumento per far sentire la propria voce, a vera e propria arena interattiva, nella quale non solo è possibile scegliere cosa guardare, su che rete, a che ora e in che modalità, attraverso quale piattaforma e quale tecnologia, esprimendosi quanto e come si vuole circa la trasmissione – in diretta o on demand che sia – ma persino ormai influenzare la sostanza del messaggio.
Se tanto è possibile, è grazie alla connettività che ci ha messi in grado di interagire con lo schermo, ma anche al fatto che la nuova TV è diventata capace di acquisire informazioni sul nostro conto: non soltanto in forma esplicita, domandandoci le nostre preferenze e dipingendo il nostro ritratto di spettatore, per proporci contenuti sempre più adatti a quello che si precisa via via come il nostro profilo, ma anche in forma più sotterranea, tracciando e memorizzando i dati della nostra fruizione video – quando ci sintonizziamo, quanto a lungo lo restiamo, quanto siamo costanti nelle nostre abitudini , a che velocità consumiamo le nostre trasmissioni preferite, se ci interrompiamo o meno durante la visione. Insomma, poter interagire con il prodotto video significa allo stesso tempo aver rivelato chi c’è di fronte allo schermo in modo più preciso e più pervasivo di quanto sia finora mai accaduto.
Da questo punto di vista, la nuova TV sembra rivelare una somiglianza più spiccata con le telecamere di sorveglianza che con la sua antenata broadcast. In effetti, gli stessi sistemi di videosorveglianza sono ormai capaci di misurare la loro azione “leggendo” in maniera più specifica ciò che osservano: come nel caso della Cina, che ha visto pochi mesi fa l’introduzione nelle scuole di sistemi di riconoscimento facciale per decifrare i comportamenti degli studenti e migliorare la gestione della classe. Nell’uno e nell’altro caso, siamo di fronte a sistemi basati sull’intelligenza artificiale, vale a dire in grado di incamerare una enorme quantità di dati e di apprendere da questi stessi, migliorando la “percezione” del contesto, ad esempio a scopo predittivo (come per evitare che uno studente indisciplinato dia in escandescenze prima che sia troppo tardi). Non a caso, è cinese SenseTime, la startup attiva sull’AI che ha raccolto lo scorso aprile un round di finanziamenti record, e che insieme a diverse altre rappresenta la testa di ponte del colosso asiatico che intende giocare su questo terreno un ruolo da protagonista.
Sullo stesso tipo di intelligenza riposa l’algoritmo di recommendation che rappresenta il fiore all’occhiello di Netflix, e sul quale si basa tutto il funzionamento del servizio: persino l’immagine di anteprima che compare sull’interfaccia di accesso, utilizzata per promuovere un contenuto, è personalizzata a seconda del profilo del singolo spettatore. A sua volta questa personalizzazione è consentita dal fatto che la stessa piattaforma di Netflix ha “guardato” (grazie a un meccanismo basato, di nuovo, sull’intelligenza artificiale, della quale sfrutta i cosiddetti servizi cognitivi) tutti i suoi contenuti, e li ha classificati immagine per immagine in base a specifici fattori (il colore, la luminosità, la presenza o meno di personaggi, il grado di romanticismo, di violenza, di suspence…) che collimano con i profili individuali.
Se allarghiamo il discorso fino a comprendere schermi diversi da quello di casa, equipaggiati con una semplice videocamera (potrebbe trattarsi di banale PC), diventa più facile immaginare per la fruizione televisiva uno scenario di vera e propria comunicazione a due vie, in cui la trasmissione da vedere a sua volta “vede” lo spettatore e gli si adatta, non solo grazie ai dati già immagazzinati sul suo profilo, ma anche alla percezione (elaborata tramite i servizi cognitivi) della sua reazione a quello che guarda. A quel punto, non solo il finale della serie TV, ma lo stesso andamento della trama, il tipo di montaggio e di inquadratura potrebbe cambiare a seconda dell’identità (perlomeno presunta) di chi la guarda, vero fulcro dello show e autentico regista. Inutile dire che un simile scenario rivoluziona in maniera non secondaria le logiche di produzione audiovisuale.
Qualcosa di simile accadeva nei primi reality multicanale, in cui la fruizione da web prevedeva la possibilità di scegliere la telecamera da cui osservare i partecipanti. Questa volta però non c’è bisogno di optare esplicitamente per uno degli “occhi” sulla scena, perchè sarebbe il prodotto stesso a conformarsi al suo consumatore. In un simile futuro, come ha scritto Luca Tomassini nel suo “L’innovazione non chiede permesso”, “sarà la televisione a proporci ciò che vogliamo nel momento in cui ci sediamo”; una differenza sostanziale anche rispetto al mondo dei videogiochi, prodotti multimediali sempre più raffinati, che pure sono stati evocati per avvicinarli all’esperimento di Netflix, e che presuppongono però tuttora una scelta consapevole da parte del giocatore – una scelta del giocatore, non del sistema. Al contrario, il prossimo futuro potrebbe demandare proprio al sistema l’interazione con lo spettatore che fino ad oggi, in varie forme, dal vecchio telecomando in poi, è stata consegnata nelle sue mani. Ancora convinti che siamo noi a guardare la TV, e non piuttosto il contrario?
UPDATE: A proposito di telecamere che ci guardano, diventeranno sempre più intelligenti (o almeno così qualcuno spera…)