Avrebbe potuto essere questo il titolo dell’evento organizzato da ASAP Service Management Forum ieri a Brescia, nel quale ho preso parte alla tavola rotonda per discutere i risultati della ricerca realizzata dall’associazione insieme al laboratorio RISE dell’Università di Brescia, dedicata appunto al tema delle competenze per la nuova generazione di figure tecniche: non più specialisti di prodotto, ma di servizio, coerentemente con il trend della servitizzazione. La rilevazione, effettuata su un campione di aziende e presentata da Theoni Paschou, ha mostrato tra le altre evidenze il gap tra l’importanza percepita delle competenze richieste e la loro effettiva presenza nelle imprese rispondenti. Una carenza che riguarda soprattutto competenze trasversali, come quelle di problem solving e logica: a mio modo di vedere, come ho cercato di spiegare, non si tratta di soft skills – anch’esse oggetto della rilevazione, e anch’esse percepite come importanti e come carenti – ma di hard skills, competenze fondamentali per tutte le altre, incluse quelle che caratterizzano le specializzazioni tecniche.
Siamo infatti di fronte a un paradosso: più lavoriamo a formare figure specializzate, più rischiamo di renderle inservibili in una finestra temporale piuttosto breve, vista la rapidità della trasformazione in atto. Le principali tecnologie dell’Industria 4.0 erano lontane dal raggiungere l’odierno grado di maturità anche solo quattro o cinque anni fa: così l’avvento dei computer quantistici schiude oggi interrogativi ai quali non abbiamo una risposta compiuta sulle competenze necessarie per operare in questo ambiente. D’altro canto, l’esperienza di formazione delle scolaresche impegnate nell’alternanza scuola-lavoro in Vetrya Academy ci ha insegnato quanto velocemente invecchino i nostri approcci alla Rete da migranti digitali, a confronto con generazioni per le quali il browser web è un relitto museale e tutto passa tramite le app, ma che probabilmente tra qualche anno si troveranno a loro volta a rimpiangere il buon tempo andato quando (scenario tutt’altro che improbabile) le interazioni con i sistemi passeranno tutte per le interfacce vocali degli assistenti virtuali.
E allora cosa fare? Diventa indispensabile trasmettere nella formazione strumenti realmente trasversali, per la lettura e interpretazione del contesto digitale (necessari anche ai livelli più operativi) e per l’assimilazione delle sue logiche di base: l’iterazione, l’automazione, la dematerializzazione, l’economia delle informazioni… Occorre predisporsi a imparare e reimparare di continuo, perché la trasformazione digitale non è una trasformazione, come la intenderemmo comunemente: un passaggio dallo stato A allo stato B, tale che sia possibile osservare ciascuno dei due stati compiutamente all’inizio e alla fine. Rispetto alle precedenti rivoluzioni industriali, in ciascuna delle quali ci sono stati vecchi lavori perduti e nuovi lavori inventati, in questa quarta nessun lavoro è per sempre, neppure i più nuovi.
Allo stesso modo, nella nuova era digitale nessuna azienda è per sempre: i confini dell’organizzazione, coinvolta nella Open Innovation, sempre più aperta all’ecosistema produttivo, civile e sociale, sono sempre più labili. Nessuna sorpresa che nello stesso convegno Mark Homer, Vice President della Global Customer Transformation per ServiceMax, abbia parlato di gig economy, riferendosi agli addetti al servizio o alla manutenzione che viene ingaggiata solo temporaneamente, e che possono essere ricondotti alla cosiddetta just-in-time-workforce, da attivare on demand. Un fenomeno sempre più esteso, che mette in questione la stessa scala di valori da sempre considerata alla base delle organizzazioni: se l’esigenza diventa quella di intervenire con immediatezza e efficacia, piuttosto che quella di essere stabilmente presenti, la lealtà e il senso di appartenenza potrebbero essere meno rilevanti, per i lavoratori di domani, rispetto alla capacità di integrarsi in maniera seamless. Anche questa è una competenza digitale, anche questa va imparata, anche questa non è una trasformazione ma una strada aperta: più impegnativa, più faticosa, forse, ma decisamente più divertente.