Coraggio, cara vecchia TV lineare, non tutto è perduto. Non è vero che tu, con i tuoi canali, con i tuoi palinsesti e con le tue guide programmi, sarai progressivamente, inesorabilmente, completamente soppiantata da nuove forme di visione, presumibilmente più "attive", svincolate da tempi, luoghi e contesti. Non è vero che sarai dimenticata, con i tuoi prime time, con i tuoi indici Auditel e con i tuoi appuntamenti fissi, seppellita dai blu-ray disc, dai PVR, dalle web TV, dalle catch-up TV, dal video on demand e da chissà cos'altro. Forse non è mai stato vero: ma ora più che mai, ora che (ri)scopriamo quanto le persone amino raccogliersi di fronte al piccolo schermo per guardare insieme quello che passa.
Raccogliersi, sì, e guardare insieme: ma non necessariamente nello stesso salotto, di fronte allo stesso schermo, e magari neppure nello stesso momento. La chiamano "Social TV", questo scambiarsi messaggi davanti alla stessa fiction o allo stesso reality, digitando freneticamente sulle tastiere di notebook o smartphones, per commentare, denigrare, chiamare a raccolta, riflettere, emozionarsi. L'hanno chiamata così lo scorso mese, a Roma, durante la Social Media Week, definendola un fenomeno "enorme", sottolineando il ruolo dei social network nella (ri)nascita della visione TV come esperienza sociale condivisa. L'hanno chiamata così anche qualche giorno fa, a Austin, in Texas, durante SXSWi, evento dedicato a cinema e TV in salsa new media. Ma in questo caso, in più, hanno sottolineato i riflessi del fenomeno sulla struttura stessa del media televisivo.
Abbiamo pensato per anni che gli spettatori volessero anzitutto personalizzazione: ci siamo messi sulle loro tracce, dapprima con i canali tematici, quindi con i bouquet personalizzati, e poi con i contenuti su richiesta, sempre disponibili quando e dove si vuole. Abbiamo quindi rincorso la flessibilità di fruizione del Web, scommettendo sul fatto che per riguadagnare un presunto terreno perduto a causa di Internet alla TV bastasse ricalcarne il modello (errore uguale e contrario rispetto a quello commesso in Rete, trasportando su protocolli HTTP contenuti, modi e tempi della visione televisiva).
E all'improvviso abbiamo cominciato a sospettare che, così personalizzati, gli spettatori si sentissero soli; ci siamo chiesti come mai, nonostante le decine di centinaia di migliaia di contenuti sempre disponibili quando e dove si vuole insistessero a sintonizzarsi sui "vecchi" canali TV, generalisti o tematici che fossero; e infine, come è successo nel convegno di Austin, abbiamo cominciato a pensare di aver suonato le campane a morto un po' troppo presto per la vecchia TV; quella lineare, generalista e di massa.
Come più in generale è avvenuto con la dimensione "social", che ha riparato sul web alla disintegrazione di quella "sociale" nella realtà, anche in TV gli strumenti 2.0 hanno sopperito alla progressiva parcellizzazione dell'audience, chiamando nuovamente gli spettatori a raccolta intorno ai loro sofa, con le loro pantofole e le loro patatine, ma in più agitando freneticamente le dita su una tastiera. E magari fianco a fianco con i loro genitori, ai quali – tastiera a parte – somigliano in maniera evidente.