Legge Gasparri, tutto da rifare

Legge Gasparri, do you remember? I pochi che non l'abbiano cancellata dalla loro memoria (aiutati dal suo presunto estensore, che nelle vesti di ministro affermò un giorno impagabilmente "cosa credete, io la legge Gasparri l'ho letta tutta") ricorderanno forse lo schema tutto sommato semplice e rassicurante in cui il provvedimento prometteva di inquadrare gli attori impegnati nel complesso palcoscenico della trasmissione televisiva, grazie all'avvento del digitale terrestre.

Produttori di contenuti o content providers da una parte, gestori di rete o network operators dall'altra, e in mezzo fornitori di servizi o service providers. I primi, sempre secondo questo schema, sarebbero stati responsabili dei palinsesti televisivi: dei contenuti delle trasmissioni e della loro programmazione. I secondi corrispondevano ai soggetti titolari del diritto di installazione, esercizio e fornitura dell rete di trasmissione e dell'impianto di messa in onda; i terzi, infine, si sarebbero occupati del middleware, come sistemi di accesso condizionato, EPG e via dicendo.

A pochi anni dalla sua definizione, questo schema appare già obsoleto. La tecnologia del DTT, strada facendo, si è sempre più avvicinata, affiancata, talvolta mescolata ad altre; e in questo percorso, le fisionomie e i ruoli degli attori hanno a lora
volta perso nettezza e identità. Già da tempo si parla di decoder unico per indicare un set-top-box in grado di consentire la visione tanto del digitale terrestre, quanto di quello satellitare, e connesso inoltre alla rete in banda larga per ricevere trasmissioni e contenuti della IPTV, della cosiddetta TV "over-the-top" e più in generale video dal web. A produrre i decoder non sono i broadcaster, ma il marchio che ne certifica le facoltà – che sia quello della sola Mediaset o quello "Gold" che contraddistingue il consorzio DGTVi – è il loro: di fatto, il presidio dei "televisivi" si allarga così dalla fornitura dei contenuti e dalla licenza di rete alle definizione dello standard di interattività e dei servizi aggiuntivi.

D'altro canto, in un ambiente ibrido come quello della "connected TV", diventa meno facile – e meno interessante – distinguere trasmissione televisiva e contenuto online, canale lineare e EPG: e il coinvolgimento di attori come Google/YouTube, o come Yahoo!, è indice della comparsa sulla scena di soggetti non univocamente riferibili a una sola delle tre categorie inizialmente individuate. Continuare a parlarne come di tre players distinti e separati rischia così di diventare sempre più una fictio (non una fiction), buona forse per gli scranni parlamentari, non più per il mutevole e magmatico ecosistema della post-televisione.