Neanche il tempo di sbracarmi sul divano per degustare una nuova dose dello stupefacente televisivo settimanale, quello del venerdì sera (uno dei due che assumo in quantità imprecisate, insieme a quello del mercoledì), ed ecco che realizzo – meglio tardi che mai. Siamo tra gli assolati scenari di CSI:Miami, e già da qualche puntata li vedo tornare tra noi, insistenti e sempre uguali. Sì, sono proprio loro: vecchie conoscenze, che negli ultimi anni latitavano dalle parti dei cattivi (più da quelli televisivi, a dire il vero, che cinematografici). Sguardo obliquo, accento inconfondibile, visual scuro il giusto: riecco i russi di bondiana (nel senso di James, non di Sandro) memoria.
Stavolta non si tratta di spie, ma di più volgari delinquenti: non emissari della superpotenza sovietica, ma più banali membri della criminalità organizzata della repubblica di Mosca, forse la mafia più famosa dopo quella italiana; gente che uccide a tradimento, che tortura, che sequestra, che ruba; senza gli spettacolari mezzi degli 007 del KGB, e non per il più alto fine del potere al popolo, ma armati di coltelli e calibro 9 qualsiasi, per uno scopo più immediato e più comune, il denaro.
Questo non toglie che la sensazione che si prova a riascoltare un doppiaggio degno dell'epoca di "Dalla Russia con amore" (ma a dirla tutta, anche del mitico "ti spiezzo in due" di Lundgren) sia quella di un tuffo nel passato, in un mondo nel quale non c'era tanto da stare a rimuginare a chi affidare il ruolo del nemico. O forse no: forse il ritorno dei russi è un segnale del presente, del presente di Putin e Medvedev e dei loro rapporti con gli Stati Uniti; forse addirittura un cenno al futuro, nel quale la fine della storia e il mondo multipolare potrebbero essere solo un lontano ricordo – un ricordo che la TV ha già accantonato.