Freedomland: quando innovazione fa rima con speculazione

Che strano sentire riparlare, ieri sera, nella trasmissione della Gabanelli, di Freedomland. Il servizio riguardava le speculazioni di borsa, da quelle della New Economy a quelle sulle materie prime che tanto hanno potuto negli ultimi mesi di crisi finanziaria globale. E così, a proposito di Internet e della bolla degli ultimi anni Novanta, ecco rispuntare il nome della società che fu quotata a un centinaio di euro, e finì per valere pochi centesimi.

Il caso di Freedomland aveva senz’altro a che fare con la speculazione, nonché con le mancanze dell’organismo che avrebbe dovuto vigilare sulla quotazione – la Consob. Eppure, riascoltando la storia non mi tolgo dalla testa che il primo, il più grave, il peccato originale della società di Degiovanni è consistito nell’idea. Proprio quella che, a detta dell’inventore, sarebbe stata ingiustamente trasformata in bersaglio dagli operatori (non sempre limpidi) dei mercati: sposare Internet e la TV.

Trasformare il televisore di casa nella porta di accesso a Internet, tramite un semplice add-on, oggi non sembrerebbe più rivoluzionario a nessuno. Non solo, e non tanto, perché volendo ci si arriva da altre vie che non siano la connessione di un set-top-box al tubo catodico; ma perché non se ne coglie il senso, non se ne capisce il bisogno, non se ne vede lo scopo. A dire la verità, forse non si vedeva nemmeno allora, visto il numero di abbonamenti che Degiovanni dovette inventarsi prima della quotazione di borsa per mostrare di aver convinto il suo target (mentre, come si apprende nel servizio di Report, i pochi decoder effettivamente venduti nemmeno funzionavano un granché).

In una decina d’anni, abbiamo imparato ad essere più saggi, e meno ingenui, sull’idea di convergenza: siamo diventati più cauti a proposito delle bacchette magiche tecnologiche che ci teletrasporterebbero (è il caso di dirlo) dall’uno all’altro dei mondi mediatici. Sappiamo che, quando questo avviene, tutto è riducibile a una mera questione di cavi; e quando non avviene, è perché i suddetti mondi vivono meglio se separati, anziché uniti artificiosamente in inutili ibridi. Ogni tanto qualche folle idea di ircocervo mediatico fa ancora capolino: ma basta ripensare alla storia di Freedomland, speculazione di idee prima ancora che di soldi, per convincersi che gli ircocervi, in natura così come in cultura, sono di per sé destinati all’estinzione.