Che lo scenario della televisione italiana fosse già mutato rispetto al quadro tradizionalmente dipinto, quello di un duopolio ingessato e irredimibile, è cosa che gli osservatori più attenti e meno pregiudiziali non potevano aver mancato di notare, e che qui avevo già appuntato in altra occasione. Ma nella relazione annuale del presidente dell’Authority per le Garanzie nelle Telecomunicazioni, Corrado Calabrò, emerge un quadro ancora più vario e complesso rispetto alla semplice aggiunta di un attore ai primi due, com’è in parte sembrato dai resoconti della stampa.
Nonostante poco sia trapelato di ciò nei resoconti, Calabrò ha affrontato diffusamente l’argomento dell’importanza dell’innovazione – non solo tecnologica – per l’attuale evoluzione televisiva: evidenziando come tanto i contenuti, quanto il loro modello di distribuzione e soprattutto di fruizione si sia radicalmente trasformato in concomitanza con l’emergenza di realtà audiovisuali un tempo marginali. Non certo il satellite, che attraversa ormai una fase di maturità e quindi di consolidamento – questo il senso del messaggio sulla fine del duopolio Rai-Mediaset; ma il digitale terrestre, la IPTV, le WEB TV e gli aggregatori di contenuti video.
L’ennesimo annuncio della fagocitazione dei vecchi media da parte dei nuovi, o nuovissimi? Tutt’altro: la descrizione di un mondo variegato, multiforme, eppure sempre più attraversato da un linguaggio comune. Forse per questo Calabrò ha insistito Calabrò sull’auspicio di un codice unico per i media, stampa compresa, in nome di un’integrazione di fatto sempre più stretta. E’ come se assistessimo alla costruzione un alfabeto costruito da tutti e ciascuno degli abitanti; fatto di interazione e insieme di visione, di anonimato e protagonismo, di individualità e di massa. Sì, perché il contributo apportato dalla"vecchia" TV via etere, il mezzo di comunicazione di massa per eccellenza, tra gli altri, non va obliterato; e pensare che sia andato perso nell’ondata di "user generated content" o nella frammentazione dei tempi di visione sarebbe ingenuo. E non è certo questo l’aggettivo che meglio si adatta al discorso di Calabrò.