Hulu nuovo media o ircocervo?

Quando ho letto la notizia della nascita di Hulu – la società nata dalla joint-venture tra NBC e NewsCorp, che dopo una lunga attesa ha aperto i battenti il 29 ottobre per offrire programmi TV e film  su Internet – mi è sembrata l’ennesima Web TV, o nel caso migliore la vecchia storia della killer application che avrebbe sbaragliato YouTube. Mi sbagliavo: è una storia ancora più vecchia, quella della TV commerciale. 

Mi spiego meglio. Hulu ha in programma una varietà di programmi televisivi provenienti dalle maggiori produzioni statunitensi, dagli show della Sony ai film della Metro Goldwin Mayer, ai telefilm dei network USA (primi tra tutti Fox e NBC, naturalmente, ma anche canali via cavo come Bravo, E! Entertainment, FX, SCI FI), oltre ai contenuti assicurati da partnership con  detentori di diritti vari (come quella con la World Wrestling Entertainment). Il cartellone promette bene: si va dagli episodi (in clip e in versione intera) di Heroes, House, The Office, Simpsons e 24 (la settima stagione) a pellicole come Blues Brothers e Sideways (da noi uscito qualche tempo fa con il titolo "In viaggio con Jack"). Del resto, non poteva essere altrimenti, e non soltanto per via dell’alto lignaggio dei "padri" del progetto: il modello di business di Hulu è improntato alla totale gratuità, remunerato unicamente con la pubblicità. Per risultare sostenibile, un simile modello deve poter contare su una massa critica di spettatori, che solo contenuti di grande richiamo possono assicurare. 

Grandi titoli, accesso libero, tutto pagato dalla pubblicità: dove l’ho già sentita? Infine, la cosa più simile che mi sia venuta in mente non è YouTube – che quando offre contenuti "branded" non si basa su proventi pubblicitari, ma su accordi diretti con i fornitori -, né esperimenti come RiVideo, RaiClick o iTunes Store; ma proprio la cara, vecchia televisione commerciale, che da diverse cecine di anni  fa esattamente lo stesso.

Dove sta allora la novità? Poniamo il caso che si tratti  del fatto che film e telefilm vengono trasmessi (legalmente, certo) su Internet, ovvero che il driver di innovazione sia la Rete. Aspetto di vedere con i miei occhi per avere la riprova dell’impressione fin qui maturata, ma resto salda in una convinzione. Non la tecnologia dovrebbe costituire la vera novità di un progetto come Hulu, ma i contenuti: contenuti adeguati alla sostanza di un mezzo di comunicazione che viene fruito in modalità, con tempi e attraverso modelli di business diversi da quelli di una televisione generalista.

Altrimenti, la "reason why" dell’utilizzo di Hulu sembrerebbe francamente un po’ deboluccia: non solo a petto delle altre entità ibride tra Web e TV, ma specialmente a fronte di un’offerta PPV e VOD ormai capillarmente integrata con le esigenze degli spettatori, tanto da permettere di parlare di una vera e propria TV su misura. La storia delle altre metamorfosi televisive – prima tra tutte, la Mobile TV – dovrebbe ormai aver insegnato che, quando si punta esclusivamente sulla sensazionalità tecnologica, confidando di poter  deportare contenuti anche di pregio da una piattaforma all’altra, i risultati finiscono per deludere. La creazione di ircocervi da laboratorio – che mutuano la piattaforma da un media, la rete da un altro, il modello di business da un terzo e i contenuti da un quarto – è ben diversa dalla comparsa di specie nuove nell’ecosistema mediatico: quale sarà il caso di Hulu?

 

  • Paola Liberace |

    Ciao Marco, perdonami ma vedo il tuo commento solo ora. No, non mi ero accorta della “ircocervo-wave”, altrimenti l’avrei cavalcata più coscientemente. Adoro il pop; ancor più, poi, quando passa per le bocche dei politici.
    Un saluto anche a te!
    p.

  • 1mark13 |

    Solo una domanda. E’ di moda usare “ircocervo” (vedi “quant’altro”, “macchia di leopardo” o la deliziosa locuzione “anarco-insurrezionalisti”)?
    No, perché l’altro giorno, non ricordo bene quale politicante italiano se n’è servito a sproposito generando la mia ilarità e lo sbigottimento dei miei genitori a cena.
    Precisiamo, Paola, non sto criticando l’uso che ne fai qui (si tratta di forma scritta, il senso è corretto, l’impiego pertinente), solo vorrei sapere se anche tu hai notato un aumento di questa parola anche sulle bocche di personaggi squallidamente emulatori.
    Diciamolo, usare “ircocervo” in una battuta da 10 secondi per un TG significa non-volersi-far-capire.
    In sostanza, c’è una “ircocervo-wave”?
    Buona giornata,
    Marco

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