Televisione o televisiùn?

Leggo in ritardo il bel post di Lorenzo sul dialetto nelle televisioni locali, e mi sento di sottoscriverlo. Almeno in parte: perché, se è vero che è improbabile che l'illusione dialettalista delle TV locali sopravviva alle prime prove, è altrettanto vero che il frutto di connubi come questo sono spesso entità completamente nuove.

Ogni tentativo riduzionista, nel campo della cultura, è destinato a fare poca strada: e questo vale in particolare per i media, dai più elementari (o presunti tali), come la lingua, ai più complessi, almeno tecnologicamente, come la televisione. Se è vero che la lingua italiana non ha soppiantato i dialetti, come qualche linguista si sarebbe aspettato grazie al supporto del piccolo schermo, è altrettanto vero che i nuovi media non hanno soppiantato la TV, che continua ad evolversi godendo di ottima salute.

Ma, proprio come il frutto dello sposalizio tra la televisione e Internet, o tra la televisione e i telefonini, sono nuove creature, figlie di un'evoluzione quasi darwiniana che conduce alla moltiplicazione degli abitanti dell'ecosistema mediatico, così allo stesso modo l'incontro e lo scontro tra la lingua "ufficiale", i dialetti e i gerghi mediatici, specialmente se avviene sul terreno di un potente trasformatore culturale come la TV, potrebbe partorire codici inauditi. Forse dunque la nuova televisione non sarà tanto tale per via dei sistemi di trasmissione più avanzati in procinto di essere adottati, ma soprattutto grazie all'esplosione di un caleidoscopio culturale – e dunque linguistico – derivante da questa contaminazione: né italiana, né dialettale, ma non per questo necessariamente meno comprensibile.

  • Paola Liberace |

    Sarà perché sono meridionale anch’io, ma mi sembra che il dialetto napoletano, per la sua trascinante forza di koiné, faccia storia a sé (non altrettanto mi sembra di poter dire per gli altri due esempi che hai citato). Eppure, anche questo dialetto è stato interessato, attraverso il canale televisivo, da contaminazioni che ne hanno fatto qualcosa di diverso, che non somiglia a quello delle canzoni popolari di inizio Novecento così come l’italiano di Gerry Scotti non somiglia a quello degli articoli di Montanelli. O sbaglio?
    Paola

  • Angelo D'Addesio |

    In realtà i discorsi da fare sono due. Lo si per fanatismo o per conoscenza. Dalla mia esperienza di meridionale posso dire che il seguito che hanno programmi in dialetto (ma che dico dialetto…) in lingua napoletana non hanno pari in Campania ed in gran parte del Sud. Certo, se si vuol far passare la teoria del dialetto come obbligo di conoscenza e di istruzione e non come tentativo di divulgazione ed intrattenimento, allora sarà solo un argomento politico e basta. Quanto alla difficoltà del dialetto in una tv globalizzata, penso che in certi casi non ci sia niente di più globalizzante del dialetto se unito alla qualità ed universalità delle tradizioni. Il Festival di Melpignano con canzoni in dialetto salentino, le manifestazioni napoletane con dialetto del loco, ma anche in passato i concerti in genovese di De André, il Teatro di De Filippo erano a dir poco universali nel successo e nell’intento.

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