What you pay is what you get

Perché uno spettatore della TV via cavo dovrebbe pagare, e uno della TV via Internet no? In fondo, la questione posta da Thomas Franzen, CEO del broadcaster svedese via cavo Com Hem, non è lontana da questa. In occasione del CTAM Euro Summit di Lisbona, è emerso sostanzialmente unanime – tanto da parte degli operatori televisivi, quanto da quello dei content providers – il riconoscimento che l'accesso alla programmazione per gli abbonati va allargato, promuovendone l'estensione anche a devices diversi dal piccolo schermo.

Il problema è che questo accesso andrebbe regolato e tariffato alla stessa stregua di quello tradizionale, come ha affermato Linda Jensen, CEO di HBO Central Europe: e pazienza se la propensione all'acquisto di contenuti televisivi sul web, soprattutto da parte delle giovani generazioni, è praticamente nullo. Secondo la Jensen, una simile difficoltà andrebbe superata con un'azione concorde per individuare il giusto posizionamento e prezzo per i contenuti da proporre ai giovani; ma le esperienze sinora condotte sulla "generazione Z" non sembrano lasciare buone speranze in questo senso.

Per fruire di contenuti editoriali, perché la qualità stessa di questi contenuti sia accettabile, bisogna pagare; le parole di Franzen a proposito dei modelli di business "free" imbastiti di tanto in tanto dai content providers non lasciano adito al dubbio. Un problema che ricalca da vicino quello della stampa, nei termini posti di recente dall'editore De Benedetti – che ha proposto di scavalcarlo a monte, prevedendo una divisione dei ricavi da connettività con gli operatori telefonici, invece di costringere gli utenti WEB a pagare le notizie.

Qualcosa di simile, almeno quanto ad ispirazione, all'orientamento sarkozista di compensare i mancati ricavi da pubblicità per la TV di Stato con una tassa sui new media: e che quest'estate, in una delle periodiche polemiche sulla RAI e sulla sua missione di servizio pubblico, qualcuno aveva riecheggiato anche da noi. Davvero basta rifarsi sul business delle reti per salvare quello dei contenuti? Davvero chi non è disposto a pagare i programmi – anche attraverso l'arcaica forma di tassazione che il canone televisivo pubblico rappresenta – preferirebbe veder sparire la pubblicità, anche da Internet – e magari tornare a versare un obolo per accendere il modem?