Nuova Apple TV: ma non chiamatela “cloud television”

Dopo la TV di Google, la TV di Apple? I puristi osserveranno subito che, a differenza della prima, la seconda esiste già, per quanto non goda di ottima salute. E in effetti, il device meglio noto come "Apple TV" è già in commercio dal 2007, quando fu lanciato con il bellicoso proposito di cambiare il nostro modo di guardare la TV (ma vah?). Si trattava di un riproduttore di video digitali, una sorta di parallelepipedo color bianco Apple, da collegare al PC e alla TV per portare sulla seconda i contenuti multimediali originariamente presenti sul primo. Insomma, just another brick in the wall. 

Troppo avanti? Troppo caro? Troppo complicato? Sta di fatto che il mercato non sembrò condividere l'entusiasmo dei creatori della scatoletta, destinandola a un successo ben diverso da quello del coetaneo iPod. Divenuto ben presto palese l'insuccesso dell'esperimento, lo stesso Steve Jobs lo degradò al rango di "hobby". A questo punto, un hobby da rispolverare, come si vocifera ormai insistentemente da qualche tempo, per fare fronte all'ondata di "nuove TV" che si appresta ad assalire il piccolo schermo – prima tra tutte, quella di Google.

Il dettaglio più interessante della "Apple TV reloaded" consiste nella completa inversione della logica che guidava il primo progetto: molto più televisiva, ma anche molto più internettara. Non più video scaricati dal WEB, in maniera più o meno legale e randomica, e immagazzinati su una sorta di "disco remoto" (per quanto evoluto) per vederli sul televisore: ma solo filmati in streaming, da scegliere e vedere senza scaricarli, pescati in un catalogo online di contenuti multimediali (a pagamento) senza il bisogno di salvarli su un ingombrante (e costoso) hard disk.

Un modello che agli affezionati della Rete ha ricordato il "cloud computing", entusiasmando chi vede nella "nuvola" la scommessa del futuro. Ma in questo caso l'evocazione sarebbe impropria. Nel caso dell'ipotetica TV di Apple, non si tratta di utilizzare di un software da remoto, liberamente e da più postazioni, contribuendo al suo stesso sviluppo; ma di consultare e consumare un catalogo di contenuti. cui attingere per poi sprofondare nella solita poltrona di fronte al solito televisore piatto. Da un lato, insomma, uno spettatore che fruisce; dall'altro, un soggetto editoriale che seleziona, propone, incassa e trasmette. Se non fosse troppo demodé (e un filino impreciso), si potrebbe persino chiamarlo broadcast.