Se anche Nielsen è dovuta correre ai ripari, vuol proprio dire che ce l'hanno fatta: i set top box – decoder satellitari, digitali terrestri e persino IPTV – si sono conquistati un posto di tutto rilievo nell'ecosistema televisivo, fino a diventare imprescindibili anche per la misurazione dell'audience. Così, un paio di giorni fa, la storica società di ricerche e analisi sull'audience media negli USA ha annunciato una riorganizzazione che consentirà di attribuire ai dati già estratti dai set top box una maggiore visibilità, integrandoli a tutti gli effetti nei report multipiattaforma.
Ma ascoltare la voce dei set top box non significa soltanto dare maggiore peso alle informazioni partorite dalle magiche scatoletta: ne va invece della stessa struttura dell'audience. In un'esperienza televisiva sempre più personalizzata, sempre più specifica e sempre meno generalista, mediata da devices come i set top box, le game consolles, le TV connesse, che offrono accesso a una gamma di contenuti sempre più ampia, in modalità di fruizione diverse e sempre più su misura, non ha più senso pensare a un telespettatore impegnato nello zapping tra i canali generalisti sul divano di casa.
In altre parole, con l'avvento di offerte televisive rese accessibili da apparati come i set top box, il modello della fruizione TV cambia: e con esso cambieranno probabilmente le metriche oggi utilizzate per valutarne l'entità, e le logiche degli investimenti che su queste riposano, oggi necessariamente costretti a cogliere l'attimo di un'attenzioen sempre più volatile. Lo spettatore che fronteggia oggi un piccolo schermo sempre di più fatto a sua immagine e somiglianza sarà con tutta probabilità meno infedele, meno freneticamente impegnato a saltare da un programma all'altro, più impegnato a ricercare un contenuto (video, ma non necessariamente televisivo) al quale però, una volta scelto, giura eterno amore. Almeno fino alla scritta "the end".