Eventi mediali: dalla liturgia ai baccanali

Avrebbe fatto felici Daniel Dayan e Elihu Katz, autori di un saggio ormai classico sui "media events", il susseguirsi di avvenimenti spettacolari rimbalzati in diretta planetaria che ha caratterizzato l'ultimo fine settimana: dalle nozze del principe William con la "borghese" Catherine Middleton alla beatificazione di papa Giovanni Paolo II, fino alla notizia in extremis, nella notte di domenica, dell'uccisione di Osama Bin Laden, annunciata dal presidente statunitense Obama in persona.

Se non che, a differenza che per Dayan e Katz, questa volta il palcoscenico privilegiato della cerimonia mediatica non è stata la televisione: o almeno, non soltanto, se è vero che il messaggio, in un evento mediale, è lo stesso pubblico che assiste. La grande narrazione collettiva, che caratterizza il momento eccezionale dell'evento, coagulando una moltitudine di spettatori intorno a uno spazio e a un tempo limitati, è passata infatti per una  molteplicità di mezzi di comunicazione, ciascuno dei quali ha rivestito un peculiare ruolo nell'officiare la cerimonia.

In altri termini, se nel 1992 gli autori potevano dubitare che senza la televisione lo sbarco sulla Luna, il matrimonio di Carlo e Diana, la caduta del Muro di Berlino sarebbero ugualmente accaduti – dove "accadere" vuol dire in pari tempo entrare a far parte della memoria condivisa – , oggi possiamo star certi che senza Internet, senza i social network, senza gli smartphones gli stessi eventi avrebbero assunto un'altra fisionomia. In altre parole, ad essere condivisa è stata non solo la memoria, ma la generazione degli eventi, accompagnati nel loro farsi da una sequela di mezzi di comunicazione – dalle Reti alla televisione, e ritorno – che li ha insieme costruiti e restituiti alla fruizione dei loro costruttori. 

Insomma, non più una celebrazione liturgica – per restare all'attualità -, con un sacerdote (la TV) e una platea di fedeli (i suoi spettatori); ma qualcosa di più diffuso, persino di più arcaico, con i partecipanti che a loro volta si trasformano in ministri per "catechizzare" nuovi adepti, allargando via via il culto. Si potrebbe chiamarlo un baccanale, per quanto profanatorio possa suonare l'usotermine parlando di nozze reali e beatificazioni cattoliche: ma in fondo, visto il sacrificio rituale con cui si è concluso, non sembra poi così improprio.